Questo blog vuole informare su come e quanto sta cambiando la vita di tutti i giorni in Grecia. L'intervento del Fondo Monetario Internazionale, BCE e dell'Unione Europea sta riducendo la Grecia a un paese in cui sarà difficile vivere. Non sono un giornalista e su questo blog voglio raccontare la vita di tutti i giorni, la mia esperienza diretta di come siamo costretti a "sopravvivere in grecia".

Alla pagina dei video di questo blog puoi vedere il nuovo documentario CATASTROIKA con sottotitoli in Italiano e il documentario DEBTOCRACY International Version con sottotitoli in inglese. Molto consigliato è anche la video intervista di Monica Benini "La guerra in Europa" che spiega benissimo ciò che sta succedendo alla Grecia. Nuovo video interessantissimo Fascismo inc anche questo in italiano. Seguendo questo link si possono ascoltare una serie di interventi andati in onda su Radio 2 Rai sul tema musicale Rebetiko, tra gli interventi, oltre alla musica si parla di storia, politica ed economia.

contributi dal web

Da Salute Iternazionale.info, intervista a Christos Sideris a cura di Progetto Ambulatorio di Torino.

Chi si cura dei Greci?

La Clinica Comunitaria Metropolitana di Helleniko offre assistenza sanitaria di base e cure gratuite a tutti i pazienti privi di assicurazione, disoccupati o indigenti, indipendentemente da chi essi siano e da dove vengano. L’iniziativa si fonda su tre principi fondamentali: non si accettano offerte monetarie da nessuno; non si accetta la partecipazione di nessun partito politico nelle attività della clinica; non si fa propaganda a nessuno e non si permette a nessuno pubblicizzare le eventuali offerte devolute.

Le politiche di “austerità” imposte alla Grecia dalla Troika (Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), a partire dal 2010, hanno avuto effetti devastanti sulla sanità del paese e sulla salute della popolazione, ampiamente documentati da diversi articoli pubblicati su Lancet [1,2,3]. Il budget degli ospedali pubblici è stato ridotto di oltre il 50% e la spesa farmaceutica pubblica è stata più che dimezzata (da 4.37 miliardi di euro nel 2010 ai 2 mld di euro nel 2014); molti servizi pubblici di prevenzione hanno dovuto chiudere per mancanza di risorse. Tutta la popolazione ne ha sofferto, soprattutto quella a più basso reddito. I disoccupati – privi dell’assicurazione legata all’impiego – trovano enormi difficoltà ad accedere ai servizi.

L’aumento dei suicidi è stato il fenomeno più appariscente, ma tutti gli indicatori di salute sono peggiorati dall’inizio della crisi. Il numero delle nuove infezioni da HIV tra i tossicodipendenti sono passate da 15 nel 2009 a 484 nel 2012. Nel 2013 è stato osservato un raddoppio dei casi di tubercolosi. Tra il 2008 e 2011 il tasso di natimortalità è aumentato del 21%, un dato attribuito al ridotto accesso ai servizi prenatali. La costante diminuzione nella mortalità infantile ha registrato un’inversione di tendenza, con l’aumento del 43%, a carico sia delle morti neonatali che di quelle post-neonatali.

Partiamo dall’inizio, in cosa consiste la vostra iniziativa, su quali principi si fonda e com’è nata?

La Clinica Comunitaria Metropolitana di Helleniko (MCCH) offre assistenza sanitaria di base e cure gratuite a tutti i pazienti privi di assicurazione, disoccupati o indigenti, indipendentemente da chi essi siano e da dove vengano. L’obiettivo della Clinica è quello di servire la popolazione, ma i volontari non si illudono certo di poter sostituire il Servizio Sanitario Nazionale greco (e non lo desiderano nemmeno). Ci battiamo per un sistema sanitario pubblico che offra servizi di alta qualità aperti a tutti.
Il Dott. George Vichas, cardiologo, è stato il primo ad avere l’idea, nel 2011, di creare una clinica comunitaria portata avanti da volontari. Lui ed un piccolo gruppo di persone si incontrarono al principio di quell’anno, pochi mesi prima dell’inizio delle manifestazioni in piazza Syntagma, e, dopo gli avvenimenti di quella stessa estate, tale gruppo cominciò a crescere, prese forma l’idea di resistere attivamente alla distruzione del sistema sanitario pubblico.
Le parole di Mikis Theodorakis accesero l’impegno e la partecipazione, quando, di fronte ad un piccolo gruppo di persone, appena prima di un concerto nel Settembre 2011, proclamò: “Nessun Greco dovrebbe patire la fame, nessun Greco dovrebbe essere privato del medico.”
Il Dott. Vichas e gli altri volontari incontrarono così la Giunta Comunale di Helliniko – Argyroupoli, che decise di offrire assistenza diretta nella realizzazione di questa idea, garantendo uno spazio fisico e provvedendo ai servizi di prima necessità. Lungo il cammino il gruppo si è fatto pian, piano più numeroso, l’ MCCH ha mosso i suoi primi passi nell’autunno del 2011 e da quel momento non ci siamo più voltati indietro.

Oggi i nostri volontari sono più di 280, con un numero crescente di medici, dentisti, farmacisti ed elementi di supporto, offrendo assistenza ad un numero sempre crescente di pazienti, talvolta superiore ai 100 al giorno. Inoltre, l’ MCCH offre supporto psicologico a cittadini disoccupati, così come si occupa di fornire cure di base ed alimenti per bambini e neonati, tutto in via gratuita.

I farmaci e gli altri prodotti derivano da donazioni di cittadini sostenitori, con l’intento di supportare coloro che si trovano in condizioni di disagio in questa fase di crisi economica che tutti stiamo attraversando.

L’ MCCH è fondato su tre principi fondamentali:
non accettiamo offerte monetarie da nessuno;
non accettiamo la partecipazione di nessun partito politico nelle attività della clinica;
non facciamo propaganda a nessuno e non permettiamo a nessuno pubblicizzare le eventuali offerte devolute.

La clinica non è finanziata da nessuno (ad eccezione delle spese operative coperte dalla Giunta Comunale di Helliniko – Argyroypoli).
Volontari, amici e sostenitori della clinica organizzano un mercatino annuale che copre parte delle nostre necessità economiche, inoltre accettiamo medicine, beni di prima necessità e lavoro volontario.
Tutto ciò ci assicura la nostra autonomia e la nostra indipendenza.
Curiamo la trasparenza ad ogni livello e la maggioranza delle decisioni di carattere non clinico vengono prese collettivamente nell’assemblea generale dei volontari.

Come portate avanti quotidianamente il vostro lavoro?

Tutto il nostro staff è composto da volontari e ci basiamo totalmente sul lavoro volontario per rispondere a tutti i servizi richiesti dai nostri pazienti. Non è stato facile riuscire a coordinare 280 persone, ma stiamo riuscendo non solo a fare un buon lavoro nell’offrire assistenza ai nostri pazienti, bensì stiamo anche diffondendo in Europa un messaggio di solidarietà, sostenendo le ragioni per le quali i nostri pazienti debbano essere assicurati, mettendo in tal modo pressione sul nostro governo, così come sull’UE. Il nostro gruppo non ha leaders o presidenti, l’intera struttura organizzativa è orizzontale e tutte le decisioni importanti sono prese tramite il mezzo assembleare, da cui provengono anche le nostre regole.

Esistono altri centri similari al vostro sul territorio nazionale greco?

La nostra clinica è stata la prima ad aprire nella regione di Atene e la seconda in tutta la nazione. Al momento ci sono più di 12 cliniche e farmacie comunitarie nell’area ateniese e più di 40 in tutta la Grecia.

Quante persone si sono rivolte al vostro ambulatorio e hanno usufruito dei servizi da esso offerti nel corso di questi anni?

In questi 4 anni abbiamo aiutato più di 6000 pazienti per un totale di 47000 casi e necessità differenti.

Puoi raccontarci qual è il contesto socio-economico generale che la popolazione greca si trova a vivere oggi?


La nostra nazione vive una condizione di crisi economica da 7 anni, di cui 5 sotto rigide politiche di austerità. Le condizioni economiche e sociali della Grecia sono così dure che il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà o molto vicino ad essa.

E per quanto riguarda il Diritto alla Salute?


3 milioni di Greci sono esclusi dall’accesso alle cure e all’assistenza medica semplicemente perché non possono permettersi di sostenerne le spese.
Proprio a causa delle difficili condizioni economiche una parte della popolazione viene letteralmente esclusa dal servizio sanitario. Chi è sprovvisto di assicurazione, infatti, nel momento in cui riceve assistenza medica e cure in un ospedale pubblico si trova a dover pagare per tali servizi e, qualora non fosse nella condizione di sostenere tali oneri economici, si troverà a contrarre un debito con lo Stato.
Oggi vi sono molte persone che si trovano in serie condizioni cliniche e scelgono di non farsi curare, preferendo correre il rischio di incorrere in complicanze di estrema gravità o finanche di morire, piuttosto che aggravare la condizione di debito della propria famiglia o dei propri figli.

Tornando con la memoria a quanto accaduto durante gli scorsi mesi di Giugno e Luglio, al referendum e ai successivi accadimenti, pensi sia stata persa un’occasione per avviare un cambiamento in Grecia e nell’intera UE? Come è cambiato lo scenario in Grecia dopo la firma del memorandum?

Fino a che l’austerità non cesserà, nulla cambierà in Grecia.A causa degli enormi tagli al budget imposti al sistema sanitario nazionale greco (parliamo di più del 50% di riduzioni dal 2009) molti ospedali pubblici non possono nemmeno permettersi di comprare i medicinali per i proprio pazienti. Quindi nulla cambierà, a meno che tale sistema non cambi e, affinchè ciò avvenga, l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea dovranno cambiare le proprie politiche.

Quali possibili orizzonti futuri vedi per la Grecia e per gli stati europei che vivono oggi una condizione di maggiore criticità?

Il nostro futuro è sotto il rigido controllo della Troika. Ciò che i cittadini europei devono capire è che queste politiche applicate in Grecia presto si allargheranno agli altri stati dell’Unione. Qui è in corso un grande esperimento e, se ad esso sarà permesso di andare avanti, tali condizioni si diffonderanno ovunque.
I nostri diritti sociali sono minacciati e dobbiamo difenderli ad ogni costo.
In questi ultimi anni l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea hanno posto come elemento di massima priorità l’aiuto del “mercato finanziario” e delle banche, anziché i popoli europei. Se queste priorità non saranno ribaltate, continueremo a vedere persone morire in nome delle ragioni dell’economia e della finanza quotidianamente in una condizione di sofferenza diffusa, generalizzata di un’intera popolazione.

Progetto Ambulatorio nasce da un gruppo di studenti di Medicina e giovani medici di Torino che collabora con medici ed associazioni nell’approfondimento del tema della Medicina Sociale nei suoi differenti aspetti.


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Da Wall Street International un articolo di Diego Acampora

Assolti o coinvolti?
Macerie d'Europa

Appartenere all'Unione Europea significa vivere in un territorio che si estende per 4 milioni di chilometri quadrati con poco più di mezzo miliardo di persone. Rappresentiamo, a livello di Prodotto Interno Lordo, l'area più ricca del pianeta.

Da qualche secolo ormai, e dalla fine del mondo bipolare in particolare, siamo territorio di passaggio obbligato per i migranti che fuggono da guerre e fame e attraversano o si fermano all'interno dei paesi UE. Abbiamo attraversato l'indicibile tragedia di due guerre mondiali, il crollo dei paesi satelliti dell'URSS, le guerre jugoslave degli anni Novanta. Siamo entrati nel Ventunesimo secolo con una moneta unica alla quale si sono presto agganciati i paesi più solidi economicamente, che hanno creato le fondamenta per l'allargamento ai 27 attuali. Rispetto ad altre aree del mondo, abbiamo una lunga tradizione di esperimenti democratici e momenti storici che hanno fatto progredire la società in termini di libertà e uguaglianza. Abbiamo anche il triste primato dell'Olocausto e soprattutto del colonialismo, che ci ha visti correre all'impazzata verso luoghi lontani ove allargare i nostri traffici, a discapito delle popolazioni autoctone che hanno visto depredata buona parte delle loro risorse.

Tuttavia, ci siamo sempre rialzati, consci delle tragedie che avevamo noi stessi provocato - dentro e fuori i nostri confini - in un'opera di ricostruzione dalle macerie e di riabilitazione del senso civico; siamo riconosciuti a livello internazionale come potenza tendenzialmente non belligerante: qualcuno ci definisce, per scherzo, imbelli. Possiamo dire di essere in salute? Può, un continente che ha attraversato tutto questo, trovarsi in estrema difficoltà nell'affrontare le questioni moderne che sono all'ordine del giorno?

Sembra di sì, purtroppo. A quanto pare sembrano saltati degli equilibri, forse definitivamente. Intanto, dovremmo farci qualche domanda sulla costruzione di questa civiltà europea, così come era stata sognata nel Manifesto di Ventotene da Altiero Spinelli e promossa da coloro che nel secolo scorso misero le basi per la costruzione dell'Unione. La tanto decantata unione degli Stati d'Europa non si è fatta, e quindi attualmente non disponiamo di politiche fiscali ed estere comuni, di una visione condivisa sulla gestione dell'economia, su come debba essere fondato il corpus di diritti civili che accomuni europei e migranti da Lisbona a Cracovia, solo per accennare ad alcune delle tante lacune che l'Unione Europea esprime a livello collettivo. L'assenza di tali politiche comuni è palese soprattutto al di fuori del continente, nei rapporti che la stessa Unione mantiene con l'esterno, l'Altro da sé.

Sulle politiche di accoglienza verso i migranti extracomunitari stiamo scontando divisioni, chiusure e paure, che risolvono a mala pena le questioni concrete sui nostri territori (flussi, accoglienza, criminalità, reinserimento) e rinfocolano i timori di una parte di popolazione per una invasione inesistente. Come se all'altezza del 2015 potessimo anche solo immaginare continenti popolati da popolazioni "etnicamente pure". Soprattutto, temiamo di fare l'unica cosa che - forse - potrebbe quantomeno frenare la fuga di queste persone dai loro paesi. Non, "aiutandoli a casa loro", come sempre più spesso si sente evocare quando si ragiona con le viscere, anzi cercando di rimuovere le cause - millenarie, se mettiamo in fila tutta la storia dei paesi colonizzati - che scatenano l'impoverimento, la fame, l'emergere di fazioni terroriste, e quindi l'abbandono delle proprie terre in cerca di fortuna altrove.

E' ormai lunga la lista di errori macroscopici - compiuti dall'Europa e da altri partner internazionali, sicuramente gli USA - nella "lettura" dei processi socio-politici che i paesi africani o del Medio Oriente affrontano: nel tentativo di isolare una parte economicamente avversaria o fazioni potenzialmente pericolose per i propri interessi in terra straniera, si sono appoggiati candidamente, con armi e soldi, gruppi che col passare del tempo hanno preso il potere instaurando microfascismi di vario tipo e causando il rinvigorirsi dei conflitti interetnici. La culla dell'accoglienza costruisce muri, ospita ritorni di xenofobie e spinge alla guerra tra ultimi e penultimi.

E' imbarazzante, ora a 14 anni di distanza, credere a una sola parola dell'espressione "esportazione della democrazia": eventi degli ultimi anni alla mano, ciò che è stato esportato a medio-lungo termine è l'incedere sovrastante della Legge economica, per la quale lo sfruttamento delle risorse e l'allargamento smisurato dei profitti a scapito del lavoro rappresentano il canale preferenziale, la spina dorsale oserei dire, dei processi che coinvolgono politicamente le istituzioni locali e internazionali.

Naturalmente, l'atteggiamento che si opera al di fuori dei propri confini non è indipendente dalla dimensione interna. Le democrazie liberali che hanno governato i paesi europei negli ultimi 30 anni, pur con qualche piccola e interessante distinzione, hanno comunque gestito la cosa pubblica secondo canoni molto simili. Siamo pervenuti per esempio, a una graduale sparizione della gestione pubblica dei servizi al cittadino, per una fede incontrollata nei confronti della gestione privata e delle sue magnifiche sorti e progressive. Il mercato libero, si diceva, regolerà da solo questi beni che un tempo erano pubblici sia costituzionalmente che a livello di gestione. Prezzi più bassi, maggiore efficienza, diminuzione della spesa e dunque del disavanzo pubblico, e voilà, la ricetta magica risolveva tutto.

Il risultato che abbiamo davanti agli occhi è che in settori nevralgici - dalla sanità alla scuola, ai trasporti, alla rete di assistenza sociale, alle politiche ambientali - il margine dell'intervento pubblico è diminuito drasticamente, la qualità del servizio non sempre è migliorata, i costi sono mediamente aumentati, mentre gli interessi economici, finanziari, ambientali dei nuovi gestori aumentano costantemente. La colonna portante del welfare europeo novecentesco si è sgretolata, lasciandoci con file di imprenditori/banche/finanziatori che attualmente detengono la gestione di quello che viene indicato come bene comune o bene pubblico a seconda dei gusti.

In secondo luogo, la questione del lavoro. Per i milioni di lavoratori europei, questi anni sono stati quelli del disincanto: scomparsa graduale della contrattazione collettiva, andamento costante della bilancia salari/profitti a favore di questi ultimi, per non parlare degli effetti non secondari che l'esportazione all'estero di buona parte del lavoro manufatturiero ha generato su salari interni e generali condizioni lavorative. Anche in questo caso, il venir meno progressivo di alcune conquiste novecentesche ha creato i presupposti per una situazione che sfiora il drammatico, come la condizione delle giovani generazioni, che hanno ereditato un mondo senza più sicurezze e affrontano, al tempo della rivoluzione digitale in pieno corso, un ingresso nel mondo del lavoro non augurabile a nessuno.

Con questo non si vuole osannare l'intervento pubblico totalizzante, nell'economia come in altri settori dell'esistenza, e non si desidera neanche un impossibile ritorno verso remotissime e novecentesche soluzioni al vivere comune; si vuole sottolineare che le politiche che democraticamente abbiamo scelto in quanto cittadini nei nostri rispettivi paesi, abbiano in realtà piegato la testa nei confronti di poteri attualmente incontrollati, come quello della finanza speculativa; e che tutto ciò abbia pian piano minato il campo del rapporto tra cittadini e istituzioni, poteri locali e sovranazionali, decretando la fine della Politica come momento emancipativo e costruttivo per l'avvenire di milioni di cittadini. Qui si è allargato il fossato.

L'attuale situazione greca non è altro che il "collasso" di tutti questi elementi in una unica condizione di squilibrio: mancata solidarietà tra paesi, impossibilità di una gestione comunitaria delle crisi che se adesso strozzano la Grecia, un domani potranno sgretolare anche paesi altrettanto deboli economicamente; le politiche di austerity e di deflazione salariale che ovunque - non solo nella tragica Grecia - hanno abbassato il livello della produzione e della domanda interna causando un arretramento produttivo e occupazionale nei paesi "storici" dell'area Euro che in tempo di pace non era mai sceso così tanto.

Siamo dunque più impauriti da un futuro che non riusciamo neanche a intravedere, minacciosi e colmi di pregiudizi nei confronti del diverso, incapaci di comprendere che una delle cause della disperazione di una parte del mondo dipende dal nostro insostenibile benessere, questo stesso benessere che in realtà ci sfugge dalle mani e al quale ci aggrappiamo come ultimo idolo della nostra sfrenata voglia di affermazione personale.

Non è più tempo per le rivoluzioni di popolo (avendo, come dice un docente di letteratura all'Università di Roma La Sapienza, "la massa omologata sostituito il popolo") né, almeno all'orizzonte, per tentativi di solidarietà internazionale terzomondista fuori tempo massimo. L'uomo occidentale rimane prudentemente solo, cosciente di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ma, come bambino impaurito, incapace di ri-pensarsi alla luce degli abbagli e delle ubriacature individualiste che lo hanno portato fin qui.

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Il nostro "Renzino Nazionale", piccino, quando in un posto ti ci mettono per forza e soprattutto per servire gli interessi altrui, capita anche di sentirsi frustrati. Sono pochi quelli che stimano il "lavoro" di Renzi in Italia, fuori dall'Italia ancora meno. Forse è proprio questa frustrazione, questa miopia e miseria politica che rappresenta che gli da il coraggio di commentare un genio economico come Varoufakis. I popoli d'Europa hanno capito e apprezzato il tentativo dell'ex ministro delle finanze greco di cambiare i presupposti del gioco sporco che si porta avanti in Europa. Purtroppo come sapete è difficilissimo cambiare le regole della mafia. Sulla questione Grecia i governi si sono dimostrati tutti dei lecca piedi. Quando Varoufakis cammina per le strade dell'Italia non solo lo riconoscono, ma la gente gli stringe la mano e lo saluta, perché riconosce il valore del tentativo inedito che ha fatto, non solo per la Grecia, ma per l'Europa tutta. 
Quando gli italiani incontrano Renzi per la strada ruttano. Perché?

Grecia, Varoufakis risponde a Renzi: “Puoi gioire quanto ti pare ma non ti sei sbarazzato di me”
"Al contrario, partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras, vi siete liberati della democrazia greca", è la replica dell'ex ministro delle finanze ellenico al premier italiano che ieri alla direzione del Pd aveva detto: "Anche sto Varoufakis se lo semo tolti. Chi di scissioni ferisce, di elezioni perisce”

Da: Il Fatto Quotidiano, di Francesco De Paolo - 22 sett 2015

“Signor Renzi, ho un messaggio per te: puoi gioire quanto ti pare per il fatto che io non sia più ministro delle finanze. Ma non ti sei sbarazzato di me. Ciò di cui vi siete sbarazzati, partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras, è la democrazia greca”, firmato Yanis Varoufakis. L’ex ministro delle finanze di Atene risponde, dal suo blog, alle parole del premier italiano, che in occasione della direzione Pd di ieri aveva detto testualmente: “Lescissioni funzionano come minaccia non al momentoelettorale. Per usare un tecnicismo, anche sto Varoufakis se lo semo tolti. Chi di scissioni ferisce, di elezioni perisce”.

L’economista ellinoaustraliano sceglie il fioretto e, definendo quella di Renzi un’illusione, sottolinea che lo scorso luglio non si sono sbarazzati dell’uomo Varoufakis ma di una “cosa molto più importante di me”. Ricostruendo i primi sette mesi del 2015,assolutamente peculiari tanto per la storia greca quanto soprattutto per quella dell’Ue, Varoufakis scrive che molti dei suoi compagni sono rimasti fedeli alla piattaforma Syriza che li ha eletti a gennaio come un partito unito che ha portato speranza ai greci e ai popoli europei. Ma speranza per che cosa, si chiede? Speranza per mettere fine “definitivamente ai prestiti di quel salvataggiofinto, che è costato caro all’Europa, e che ha condannato la Greciaad una depressione permanente“.

E attacca: “Sotto un’estrema costrizione da parte dei leader europei, tra cui anche il signor Renzi che ha rifiutato di discutere ragionevolmente le stesse proposte della Grecia, il mio primo ministro, Alexis Tsipras, è stato sottoposto il 12 e 13 luglio a un bullismo insopportabile, a un ricatto nudo, a pressioni disumane”. E aggiunge che il premier italiano ha svolto un ruolo centrale nell’aiutare la rottura di Alexis, “con la sua tattica delpoliziotto buono, sulla base dell’assunto se non cedi, essi ti distruggeranno”.

Motiva la separazione con Tsipras per via del disaccordo sul fatto che stessero bluffando e soprattutto sul fatto che non si poteva consegnare le chiavi di ciò che resta del Stato greco alla spietatatroika. Questo è stato, e rimane, un disaccordo “tra me e Alexis”, aggiunge. Per cui a seguito di tale disaccordo, Tsipras avrebbe fatto una inversione a U (e forzata) nella politica di Syriza e, di conseguenza, una gran parte dei membri del partito ha deciso di non seguirlo. Erano i giorni in cui non solo i 25 scissionisti diUnità Popolare si erano allontanati dalla “Pangea Alexis” ma finanche Tasos Koronakis, il segretario del partito, lo stesso Varoufakis e molti altri dirigenti che si sono sentiti traditi. Secondo l’ex ministro non condividevano la scelta di Syriza di trasformarsi tout court in un nuovo Pasok.

E poi la stoccata finale al nostro premier: “Signor Renzi, ho un messaggio per te: puoi gioire tanto quanto ti pare per il fatto che io non sia più ministro delle finanze o deputato. Ma non ti sei sbarazzato di me, io sono vivo e vegeto politicamente, e come persona in Italia mi riconoscono quando cammino per le strade del vostro bel Paese. Ciò di cui vi siete sbarazzati partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras è la democrazia greca“.

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Rimetti a loro i nostri debiti
di Leopoldo Salmaso, pubblicato il 10/7/2015 su www.pressenza.com

La vulgata dominante è che i Greci, dopo essere entrati nell’Eurozona, abbiano vissuto come “cicale” sulle spalle delle “formiche” nordeuropee. La realtà è diametralmente opposta, essendo del tutto evidente che le “cicale” stavano meglio prima di imbarcarsi con le “formiche”, ed essendo appurato che gli esempi strombazzati dalla propaganda sado-maso-austera sono grossolanamente stravolti. Ma io, anziché indulgere in questa polemica, vorrei andare al nocciolo della questione. Il fatto è che banche private, prevalentemente francesi e tedesche, hanno investito su imprese greche sia private che pubbliche. Era un investimento azzardato? In realtà sì, in teoria no, anzi, era un investimento a bassissimo rischio grazie allo scudo dell’euro; per giunta garantiva rendimenti molto più alti che in Francia o Germania. Inoltre, per gonfiare ancor più quei rendimenti, gli investitori hanno corrotto: non parliamo solo di soggetti singoli, ma anche dei complessi industrial-militari (http://www.leblogfinance.com/2015/03/grecescandale-de-corruption-sur-contrats-darmement-avec-france-et-allemagne-la-suisse-saisit-des-comptes-bancaires.html).
Poi è venuta la crisi e chiunque avesse fatto investimenti a rischio doveva rimetterci. Chiunque, tranne le banche “too big to fail”, cioè troppo grosse per fallire senza gravi conseguenze sull’intero sistema bancario su cui è “impalata” l’economia occidentale, tirandosi appresso il resto del mondo. Allora i governi francese e tedesco hanno estratto il coniglio dal cilindro per mano della Troika (BCE, FMI e Commissione Europea: tutti burocrati senza investitura democratica, che si sono costruiti una barriera di immunità da qualsiasi responsabilità civile, penale o politica per atti compiuti nell’esercizio delle loro disfunzioni). Codesti prestigiatori hanno rilevato i crediti inesigibili delle banche private e li hanno trasferiti sui conti pubblici, cioè sui cittadini europei ivi compresi noi Italiani che, già nei guai per conto nostro, ci siamo sobbarcati 40 miliardi di perdite delle banche private francesi e tedesche. Il trucco consiste nel far credere che il medesimo credito, riconosciuto inesigibile da parte di soggetti privati, possa diventare esigibile se reclamato dalle “Istituzioni”. Istituzioni che sono teleguidate da un pugno di globocrati e che si ostinano a imporre ai Greci le loro “cure”, senza scomporsi di fronte all’evidenza che quelle “cure” hanno aggravato la malattia e fatto lievitare il debito del 50%. Istituzioni che irridono alla volontà popolare, democraticamente e dignitosamente espressa pur sotto ricatti e minacce.
Per la verità già nel 2003 Romano Prodi, allora presidente della Commissione Europea, aveva cercato di sollevare questi problemi ma si è subito zittito perché “…Schroeder e Chirac… dissero che avrei dovuto tacere” (intervista a Tagesspiegel, 11/02/2015 riportata su http://www.romanoprodi.it/interviste/la-grecia-non-ripaghera-mai-i-debiti-ma-se-esce-dalleuropa-lunione-collassera_10496.html). E che fanno i governanti di oggi? Non solo stanno zitti, ma aizzano i propri cittadini contro il falso bersaglio, cioè contro il popolo greco e il suo governo che, invece, stanno lanciando la riscossa non soltanto per se stessi ma anche per tutti gli europei, francesi e tedeschi compresi. Infatti la tragica vicenda greca sta scoperchiando la truffa monetaria globale, al cui confronto sono bazzecole anche le speculazioni finanziarie più spudorate. Andiamo per gradi:
Primo: larga parte del debito pubblico greco è “odiosa” perché contratta con inganno e per scopi che erano in palese conflitto con gli interessi della popolazione. E quasi il 90% degli “aiuti”, sempre a debito, è andato a coprire i buchi dei creditori stranieri invece che alleviare le sofferenze della popolazione. Questa realtà è stata documentata da una commissione parlamentare, supportata da consulenti di fama mondiale, secondo le vigenti leggi e convenzioni internazionali (http://greekdebttruthcommission.org/index.php).
Secondo: tutti i debiti di Stati, imprese e cittadini, non importa che siano “cicale” o “formiche”, hanno una forte componente “odiosa” perché la sovranità monetaria è stata usurpata dai privati i quali creano il denaro dal nulla nell’atto stesso di prestarlo, e lo caricano di interessi ingiustificati e illegittimi.
Terzo: poiché il denaro viene creato sotto forma di debito, per poter estinguere un debito si deve necessariamente creare un altro debito, più nuovi interessi composti. Perciò il debito globale è matematicamente inestinguibile, anzi crescente con trend esponenziale. I debitori più forti (pubblici o privati) riescono a mantenere aperte le loro linee di credito solo affossando ancor di più quelli più deboli (pubblici o privati), ma il destino finale di tutti (compresi francesi e tedeschi, pubblici e privati) è di finire in bancarotta se non si attua una riforma monetaria strutturale, partendo da quanto recentemente indicato dall’Islanda (http://www.forsaetisraduneyti.is/media/Skyrslur/monetary-reform.pdf).
Quarto: l’impasse fra economia reale e finanza è ancor più tragica perché pretestuosa. Infatti anche molte economie “arretrate” hanno raggiunto standard di surplus produttivo che, con le dovute armonizzazioni ambientali e in un contesto di più equa distribuzione, permetterebbero la liberazione di tutti gli esseri umani dai bisogni primari, dal lavoro quale necessità schiavizzante, e dal debito: premesse concrete per un nuovo Umanesimo.
Quinto: Con un regime mondiale di surplus produttivo permanente, e a 44 anni dall’abbandono del gold standard, la scarsità monetaria, cioè il debito, non ha alcun fondamento razionale ma viene idolatrata come un feticcio che serve esclusivamente a soggiogare il 99% dell’Umanità credulona… ma per quanto ancora?
CONCLUSIONE: Il problema è squisitamente e globalmente politico, ma non può certo essere affrontato dalle classi politiche dominanti, neppure quelle sedicenti progressiste che sono inchiodate sui dogmi neoliberisti tanto quanto quelle conservatrici. La disputa fra “cicale” e “formiche” è la meschina conseguenza del fatale inganno, quello che la coperta sia troppo corta! Gli Europei finora si sono comportati più come i classici “polli di Renzo”, beccandosi a vicenda invece che coalizzarsi contro gli usurpatori della loro sovranità monetaria e politica. Il popolo greco ha capito tutto ciò provandolo sulla propria pelle, nonostante sia stato bombardato dal terrorismo mediatico, e governato fino a cinque mesi fa da “amici del giaguaro”. Anzi, proprio tale miope accanimento ha accelerato e acuito la consapevolezza dei Greci. E poiché, come dice Riccardo Petrella, l’Umanità non è l’insieme degli esseri umani ma sono gli esseri umani che vivono insieme, la consapevolezza di uomini, donne e popoli è molto contagiosa: presto anche i 500 milioni di cittadini europei prenderanno coscienza di tutto ciò e metteranno alla berlina pennivendoli, burocrati, politicanti e usurai per costruire società più eque e solidali. Dove la moneta, creata a credito sotto effettivo controllo democratico e distribuita anzitutto come dividendo di cittadinanza, sia una semplice unità di misura delle risorse reali (per approfondire si veda il Manifesto per un Nuovo Ordine Monetario su: http://www.pressenza.com/it/2015/05/vietato-interrogarsi-sulla-natura-del-denaro/ ). Dove il denaro non sia un pessimo padrone ma un ottimo servitore.

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L'appello / Così si salva la democrazia
di Barbara Spinelli e Étienne Balibar

Caro direttore, chiediamo ai tre creditori della Grecia (Commissione, Banca centrale europea, Fondo Monetario internazionale) se sanno quello che fanno, quando applicano alla Grecia un’ennesima terapia dell’austerità e giudicano irricevibile ogni controproposta proveniente da Atene. Se sanno che la Grecia già dal 2009 è sottoposta a un accanimento terapeutico che ha ridotto i suoi salari del 37%, le pensioni in molti casi del 48%, il numero degli impiegati statali del 30%, la spesa per i consumi del 33%, il reddito complessivo del 27%, mentre la disoccupazione è salita al 27% e il debito pubblico al 180% del Pil.
Al di là di queste cifre, chiediamo loro se conoscono l’Europa che pretendono di difendere, quando invece fanno di tutto per disgregarla definitivamente, deturparne la vocazione, e seminare ripugnanza nei suoi popoli.
Ricordiamo loro che l’unità europea non è nata per favorire in prima linea la governabilità economica, e ancor meno per diventare un incubo contabile e cader preda di economisti che hanno sbagliato tutti i calcoli. È nata per opporre la democrazia costituzionale alle dittature che nel passato avevano spezzato l’Europa, e per creare fra le sue società una convivenza solidale che non avrebbe più permesso alla povertà di dividere il continente e precipitarlo nella disperazione sociale e nelle guerre. La cosiddetta governance economica non può esser vista come sola priorità, a meno di non frantumare il disegno politico europeo alle radici. Non può calpestare la volontà democratica espressa dai cittadini sovrani in regolari elezioni, umiliando un paese membro in difficoltà e giocando con il suo futuro. La resistenza del governo Tsipras alle nuove misure di austerità — unitamente alla proposta di indire su di esse un referendum nazionale — è la risposta al colpo di Stato postmoderno che le istituzioni europee e il Fondo Monetario stanno sperimentando oggi nei confronti della Grecia, domani verso altri Paesi membri.
Chiediamo al Fondo Monetario di smettere l’atteggiamento di malevola indifferenza democratica che caratterizza le sue ultime mosse, e di non gettare nel dimenticatoio il senso di responsabilità mostrato nel dopoguerra con gli accordi di Bretton Woods. Ma è soprattutto alle due istituzioni europee che fanno parte della trojka — Commissione e Banca centrale europea — che vorremmo ricordare il loro compito, che non coincide con le mansioni del Fmi ed è quello di rappresentare non gli Stati più forti e nemmeno una maggioranza di Stati, ma l’Unione nella sua interezza.
Chiediamo infine che il negoziato sia tolto una volta per tutte dalle mani dei tecnocrati che l’hanno fin qui condotto, per essere restituito ai politici eletti e ai capi di Stato o di governo. Costoro hanno voluto il trasferimento di poteri a una ristretta cerchia di apprendisti contabili che nulla sanno della storia europea e degli abissi che essa ha conosciuto. È ora che si riprendano quei poteri, e che ne rispondano personalmente.
Barbara Spinelli è europarlamentare indipendente del Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica. Étienne Balibar è un filosofo francese

la Repubblica, 29 giugno 2015
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Ich bin ein Grieche!
Parte la solidarietà globale con il popolo greco

26 giugno 1963: J.F. Kennedy pronuncia la storica frase “Ich bin ein Berliner – Io sono berlinese”, che avvia il riscatto dei cittadini di Berlino Ovest, ridotti alla fame dall’assedio dei liberticidi pseudocomunisti.
26 giugno 2015:  Il governo legittimamente eletto indice il referendum che avvia il riscatto dei cittadini greci, ridotti alla fame dall’assedio dei liberticidi neoliberisti.

Da oggi a domenica prossima anche tu afferma con decisione: “Ich bin ein Grieche! – Io sono greco!”. Se non lo fai, per indifferenza o perché ipnotizzato dalla falsa propaganda dei pochi banchieri che dominano il mondo, non ti illudere: oggi tocca ai greci, domani toccherà a noi e dopodomani anche ai tedeschi! L’Unione Europea sognata dai padri fondatori si è trasformata in un incubo per la pochezza della classe politica, il servilismo dei media mainstream, e la cieca presunzione di burocrati non eletti né controllati da nessuno. La scarsità monetaria è un inganno! La moneta emessa a debito è lo strumento perverso con cui oggi viene tenuto in schiavitù il 99% dell’umanità. Apri gli occhi! Apri la bocca e afferma: “Ich bin ein Grieche!”. Apri le liste dei tuoi contatti sui social network e passa a tutti questo appello come non hai mai fatto fino ad ora.
Chi sta usurpando e violentando la democrazia dev’essere sommerso da un boato globale: “Ich bin ein Grieche!”.

Continua sul sito di Pressenza, segui il link: http://www.pressenza.com/it/2015/06/ich-bin-ein-grieche/


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Il “Grande Gioco” Di Varoufakis
di Hans-Werner Sinn. 
Articolo uscito su Project Sindicate, The world's opinion page il 29 maggio 2015
MONACO – Gli esperti di teoria dei giochi sanno che un piano A non è mai sufficiente. Si deve anche elaborare e proporre un piano B credibile – la minaccia implicita che fa avanzare i negoziati sul piano A. Lo sa molto bene il ministro delle finanze della Grecia, Yanis Varoufakis. Visto che il governo greco viene ribattezzato come “il cattivo della situazione”, egli sta lavorando al Piano B (una potenziale uscita dalla zona euro), mentre il primo ministro Alexis Tsipras si rende disponibile per il piano A (un’estensione sull’accordo di finanziamento della Grecia, e una rinegoziazione dei termini del suo salvataggio). In un certo senso, stanno giocando al classico gioco del “poliziotto buono/poliziotto cattivo” - e, finora, con grande effetto.
Il Piano B è composto da due elementi chiave. In primo luogo, vi è una semplice provocazione, volta a fare agitare i cittadini greci e quindi ad accrescere le tensioni tra il paese ed i suoi creditori. I cittadini greci devono credere di poter evitare una grave ingiustizia se si vuole che continuino a fidarsi del loro governo durante il difficile periodo che potrebbe seguire un’uscita dalla zona euro.

In secondo luogo, il governo greco fa lievitare i costi del Piano B per la controparte, consentendo la fuga di capitali dei suoi concittadini. Se volesse, il governo potrebbe contenere questa tendenza con un approccio più conciliante, o arrestarla del tutto, con l’introduzione di controlli sui capitali. Ma così facendo indebolirebbe la sua posizione negoziale, il che non è auspicabile.
La fuga di capitali non significa che il capitale si muove all’estero, in termini netti, ma piuttosto che il capitale privato è stato trasformato in capitale pubblico. In sostanza, i cittadini greci stipulano prestiti dalle banche locali, finanziati in gran parte dalla banca centrale greca, che acquisisce fondi attraverso le disposizioni per l’erogazione di liquidità di emergenza (ELA ) della Banca Centrale Europea. Essi trasferiscono quindi tale denaro in altri paesi per l’acquisto di attività estere (o per riscattare i loro debiti), drenando liquidità dalle banche del loro paese.
Altre banche centrali della zona euro sono quindi costrette a creare nuova moneta per evadere gli ordini di pagamento per i cittadini greci, fornendo in effetti alla banca centrale greca un credito scoperto, come misurato dalle cosiddette passività TARGET. In gennaio e febbraio, i debiti TARGET della Grecia sono aumentati di quasi 1 miliardo di euro (1,1 miliardi di dollari) al giorno, a causa di una fuga di capitali da parte di cittadini greci e investitori stranieri. Alla fine di aprile, i debiti ammontavano a 99 miliardi di euro.
Una fuoriuscita della Grecia non danneggerebbe i conti che i suoi concittadini hanno creato in altri paesi della zona euro – abbandonarli causerebbe la perdita dei beni che i Graci hanno acquistato con tali conti. Ma questo farebbe impantanare le banche centrali di quei paesi con i titoli TARGET denominati in euro dei cittadini greci di fronte alla banca centrale della Grecia, che avrebbe attività denominate solo in dracme ristrutturate. Data l’inevitabile svalutazione della nuova moneta, unitamente al fatto che il governo greco non ha bisogno di sostenere il debito della sua banca centrale, un default che deprivi le altre banche centrali dei loro crediti sarebbe quasi certo.
Una situazione simile si presenta quando i cittadini greci prelevano contanti dai loro conti e li accumulano in valigie o li portano all’estero. Se la Grecia abbandona l’euro, una quota consistente di questi fondi – pari a 43 miliardi di euro alla fine di aprile – potrebbe rifluire nel resto della zona euro, sia per l’acquisto di beni e attività sia per ripagare i debiti, con una conseguente perdita netta per gli altri membri dell’unione monetaria.
Tutto questo rafforza considerevolmente la posizione negoziale del governo greco. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che Varoufakis e Tsipras giochino sul tempo, rifiutando di presentare una lista di proposte di riforme significative.
La BCE ha notevoli responsabilità riguardo a questa situazione. Omettendo di esplicitare la maggioranza dei due terzi nel Consiglio direttivo della BCE, necessaria a limitare la strategia interessata della banca centrale greca, ha permesso la creazione di oltre 80 miliardi di euro in liquidità di emergenza, che supera i 41 miliardi di euro in beni recuperabili della banca centrale greca. Con le banche greche a cui sono stati garantiti i fondi necessari, al governo è stato risparmiato di dover introdurre controlli sui capitali.
Si dice che la BCE sia pronta a rivedere la sua strategia – e presto. Si sa che la sua tesi secondo cui i prestiti ELA sono assistiti da garanzie reali mostra la corda, visto che, in molti casi, la garanzia ha un rating inferiore a BBB-, e quindi al di sotto dell’investment grade.
Se la BCE riconoscesse, infine, che questo non va bene, e rimuovesse la rete di sicurezza di liquidità della Grecia, il governo greco sarebbe costretto a iniziare i negoziati sul serio, infatti prolungare l’attesa non comporta niente di buono. Ma, con la scorta di denaro inviata all’estero e tenuta in contanti già cresciuta a dismisura fino al 79% del PIL, la sua posizione resterebbe molto forte.
In altre parole, in gran parte grazie alla BCE, il governo greco sarebbe in grado di garantire un esito molto più favorevole – tra cui una maggiore assistenza finanziaria e ridotte esigenze di riforma – di quello che avrebbe mai potuto guadagnare in passato. Una grande parte delle risorse acquisite, misurate dai saldi TARGET, e il denaro stampato si trasformerebbero in una dotazione elergita per un futuro indipendente.
Molte persone in Europa sembrano credere che Varoufakis, un esperto di gioco teorico ma un neofita politico, non sappia come giocare le carte che sono state distribuite alla Grecia. Ci dovrebbero ripensare prima che la Grecia se ne vada con il piatto.

Hans-Werner Sinn, Professor of Economics and Public Finance at the University of Munich, is President of the Ifo Institute for Economic Research and serves on the German economy ministry’s Advisory Council. He is the author, most recently, of The Euro Trap: On Bursting Bubbles, Budgets, and Beliefs.

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La Grecia verso un "compromesso onorevole"
di Dimitri Deliolanes da "il manifesto dell'8 maggio 2015

Qual­cosa deve essere suc­cesso negli ultimi giorni se per­fino molti media euro­pei a que­sto adusi, hanno smesso di insul­tare i greci e il governo che si sono scelti. Se le cor­ri­spon­denze tv da Bru­xel­les e da Ber­lino hanno abban­do­nato i toni minac­ciosi e lugu­bri per spriz­zare otti­mi­smo e buoni sen­ti­menti. Qual­cosa è suc­cesso, ma nes­suno si è preso la briga di spie­garci cosa. Eppure non è per l’attesa dei risul­tati del voto bri­tan­nico e ino0ltre non c’è nulla di segreto. Una decina di giorni fa Ale­xis Tsi­pras è apparso in tv e per la prima volta ha fatto diret­ta­mente cenno all’eventualità di un refe­ren­dum. Delu­dendo le aspet­ta­tive della stampa ita­liana ed euro­pea, sul piatto non ci sarà l’uscita o no dall’eurozona. Ci sarà invece la pro­po­sta di auste­rità sulla quale Gre­cia e cre­di­tori si stanno scon­trando negli ultimi tre mesi: volete voi appro­vare que­ste misure di auste­rità che a noi del governo ci fanno ribrezzo? Rispon­dere sì o no.

Sem­brerà strano, ma il governo greco è con­vinto di poter vin­cere que­sto refe­ren­dum, pur avendo con­tro la tota­lità dei media. Le tv oli­gar­chi­che gre­che fanno pena e l’opposizione filo­te­de­sca pure. Dall’altra, la gente sente la parola «riforme» e perde subito la pazienza. Ci sono quindi per Tsi­pras fon­date spe­ranze che si armi alla fine di un sonoro no, in modo da poter andare a sbat­terlo in fac­cia a Schau­ble, chie­den­do­gli se intende igno­rare anche que­sto responso delle urne greche.

Poi abbiamo avuto un inso­lito flusso di voci uffi­ciose pro­ve­nienti tanto dal governo quanto da Syriza. Que­ste voci insi­stenti dice­vano che i 200 milioni del 6 mag­gio sareb­bero stati senz’altro pagati al Fmi (come è avve­nuto). Ma i 750 milioni del 12 mag­gio non erano per niente sicuri, per il sem­plice fatto che i soldi sono sem­pre di meno. Alcuni mini­stri greci, com­preso il «mode­rato» Dra­ga­sa­kis, hanno ripe­tuto ancora una volta che se dove­vano sce­gliere tra pen­sioni e debiti avreb­bero scelto le prime. Fin­chè lo stesso Tsi­pras si è attac­cato alla cor­netta e ha infor­mato tutti, da Junc­ker alla Mer­kel e da Putin a Dijs­sel­bloem, che o si rag­giun­geva un accordo rea­li­stico all’eurogruppo di lunedì oppure mar­tedì la Gre­cia smet­teva di pagare. In Ita­lia non se ne è par­lato molto per non spar­gere il panico nella fila della mag­gio­ranza e per rispetto per il lutto di Schau­ble, ma tutto que­sto atti­vi­smo ha avuto effetto. Sem­bre­rebbe che gli euro­pei abbiano final­mente capito alcune cose sem­plici: che Tsi­pras non vuole uscire all’eurozona, ma non è per niente dispo­sto a pie­gare la schiena per rima­nerci. Se messo alle strette, come si è tro­vato alla fine di aprile, è pronto a get­tare il cerino acceso nel cuore dell’eurozona.

In tutta Europa girano auto­re­voli eco­no­mi­sti, ban­chieri, finan­zieri, gior­na­li­sti o sem­plici milio­nari, pronti a giu­rare che “l’eurozona è coraz­zata” e che “non ci sarà nes­sun effetto domino”. Poi, di fronte alla pos­si­bi­lità con­creta, Junc­ker si è visto improv­vi­sa­mente nel ruolo di pen­sio­nato brillo, Schulz costretto a volan­ti­nare nella peri­fe­ria di Dus­sel­dorf e la Mer­kel a dover dare spie­ga­zioni alla Bdi (la Con­fin­du­stria tede­sca) per aver man­dato in fumo l’eurozona e forse anche l’Ue. Lo ha capito per­fino Schau­ble: il gre­xit è un’invenzione da dare in pasto alla plebe, ma per carità, non si può fare.

Ecco quindi che è giunto alle nostre orec­chie l’eco di una rissa furi­bonda tra il Fmi e gli euro­pei, sem­bra già scop­piata a Riga, quando Varou­fa­kis stava per essere fuci­lato sul posto. Il Fmi con­cor­de­rebbe con Tsi­pras che il debito greco è inso­ste­ni­bile e vor­rebbe un gene­roso taglio, esi­gendo in cam­bio la dere­gu­la­tion del lavoro dipen­dente. Gli euro­pei non vogliono sen­tire par­lare di hair­cut e insi­stono sull’aumento delle tasse. Tra i due liti­ganti, l’isolato, fru­strato, dispe­rato e «scon­fitto» Tsi­pras per ora è tutto meno che iso­lato, fru­strato e sconfitto.

Sono que­ste le pre­messe che fanno pre­sa­gire che si vada verso quel «com­pro­messo ono­re­vole» evo­cato fin dall’inizio da Atene. Forse lunedì non ci sarà un accordo ma solo una dichia­ra­zione pub­blica, men­tre i con­te­nuti non sono ancora noti. Abbiamo solo le ras­si­cu­ra­zioni corali di tutti gli espo­nenti del governo che le «linee rosse» anti-austerità saranno pie­na­mente rispettate.

Mer­co­ledì era il giorno della rias­sun­zione di tutti gli sta­tali licen­ziati ille­gal­mente, com­prese le eroi­che donne delle puli­zie del mini­stero delle Finanze. Ma era anche il giorno in cui sono stati rin­viati a giu­di­zio 40 impren­di­tori e ban­chieri (tra cui alcuni oli­gar­chi) che hanno let­te­ral­mente sac­cheg­giato il Ban­co­Po­sta elle­nico prima di sven­derlo. Alcuni sono già in galera, altri segui­ranno. Sì, Tsi­pras gioca duro e gioca per vincere.
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Il presidente tedesco: giusta la richiesta greca sui danni di guerra. Rimborso di 278,8 miliardi di euro.
Articolo da: http://www.jobsnews.it  

Il presidente della Repubblica tedesco, Joachim Gauck, in un’intervista pubblicata dall’autorevole quotidiano Suddeutsche Zeitung, sabato 2 maggio, per la prima volta riconosce la legittimità della richiesta del governo greco ai tedeschi di pagare i danni di guerra. “Siamo i discendenti di coloro che durante la seconda guerra mondiale hanno lasciato un’eredità di morte e distruzione”, ha affermato con coraggio il presidente Gauck. Ed ha aggiunto: “tra gli altri Paesi, in Grecia, con nostra grande vergogna, non abbiamo risolto nulla per molto tempo. È giusto perciò che un Paese consapevole della sua storia, come il nostro, valuti quali possibilità di riparazione siano reali”. Il presidente naturalmente ne ha fatto una questione di legittimità storica e giuridica, non economica. Per questo non ha aggiunto nulla sulla eventuale cifra dei danni di guerra che la Germania potrebbe pagare alla Grecia.
La dichiarazione di Gauck segna una rottura nel dibattito sui danni e sulle riparazioni di guerra. Pronunciata dalla istituzione più elevata in Germania, le cui funzioni sono essenzialmente onorifiche, ma che gode di un generale e universale rispetto, soprattutto per il suo lavoro nella ex Germania Orientale, la dichiarazione fornisce una fortissima legittimazione alle rivendicazioni greche finora respinte da Berlino. Atene reclama la cifra di 278,8 miliardi di euro per i danni subiti nel corso della Seconda guerra mondiale, e la questione è divenuta materia estremamente scottante nelle relazioni bilaterali tra Atene e Berlino.
Il dibattito in Germania si riaccende. E molti credono che la Grecia abbia ragione
“La questione delle riparazioni è giuridicamente e politicamente chiusa”, affermano invece con regolarità i membri del governo Merkel. “Si tratta solo di una manovra diversiva a buon mercato”, dice la CSU, per bocca della leader Gerda Hasselfeldt. “È una richiesta stupida”, aveva affermato in aprile perfino Sigmar Gabriel, uno dei leader della SPD, il partito socialdemocratico tedesco, sostenendo che è impossibile mettere assieme la questione dei danni di guerra e il pagamento dei debiti di Atene. Per Berlino, la rivendicazione delle riparazioni ha perso legittimità nel momento delle riunificazione tedesca, quando i Trattati di Mosca hanno regolato le dispute internazionali della Germani unita e i conti ancora aperti con la storia.
Tuttavia, molte voci si sono alzate dalla metà di marzo per dare un giudizio sonoramente critico contro queste posizioni di comodo. Alcuni giuristi del servizio scientifico del Bundestag, il Parlamento Federale tedesco, intervistati dal settimanale Spiegel, hanno espresso molte riserve sulla solidità delle argomentazioni governative. E tante personalità politiche hanno apertamente chiesto di riaprire il dossier dei danni di guerra greci. Annette Groth, deputata della Linke, il partito di sinistra radicale, che difende le ragioni delle richieste greche di rimborso, chiede l’immediato versamento di 11 miliardi di euro a favore di Atene. “Trovo giusta la posizione del ministro delle Finanze Varoufakis quando propone che il denaro venga utilizzato per creare una banca d’investimenti”, ha dichiarato. Anton Hofreiter dei Verdi giudica che “la Germania non può lavarsi le mani dinanzi alle richieste greche. Questo capitolo non è ancora concluso definitivamente, né sul piano morale, né sul piano giuridico”. Molti membri della SPD stimano ugualmente necessario fare un lavoro sul passato. È l’opinione di Gesine Schwan, membro autorevolissimo del partito e due volte candidata alla presidenza della Repubblica, che ha dichiarato: “Psicologicamente, è perfettamente comprensibile che la Grecia si chieda, nell’attuale situazione, se i tedeschi si siano comportati sempre in modo leale”.
I calcoli: il debito di Hitler mai rimborsato e i crimini di guerra
La questione delle riparazioni belliche che la Germania deve alla Grecia comporta due generi di calcoli. Il primo calcolo deriva da un prestito forzoso di 476 milioni di Reichsmark che il regime di Hitler aveva contratto con la Banca centrale greca nel 1942, e che non è mai stato rimborsato. Secondo le stime attuali, questa cifra corrisponderebbe appunto agli odierni 11 miliardi di euro, calcolati dalla deputata della Linke. Il secondo calcolo riguarda le riparazioni per crimini di guerra. Il massacro di Distomo, soprattutto, viene spesso ricordato dai greci, perché vi morirono, per mano tedesca, 218 civili, tra bambini, donne e anziani, nel giugno del 1944. In Grecia, le parole del presidente Gauck campeggiano tra i primi titoli di tutti i quotidiani, e sono in apertura di tutti i telegiornali. La sorpresa è evidente. Nessuno poteva attendersi un sostegno alle richieste greche al livello più elevato della Germania. Syriza ha trovato conferma alla legittimità delle sue richieste di riparazioni. Ora c’è da attendere la reazione di Angela Merkel.


Leggendo i commenti sotto i vari articoli che riguardano la Grecia, spesso mi viene la nausea nel vedere le stronzate che vengono scritte dai vari "italiani medi" che ostentano una sicurezza e una verità che non hanno neanche i premi Nobel nel commentare le vicende politico-economiche. Tutti pronti a rimasticare le povere stronzate che gli vengono dette in TV. Spegnete la TV e accendete il cervello! Ci stanno intrappolando in una strada a fondo chiuso. Tra la Grecia e l'Italia non c'è poi quella grossa differenza. Tra poco sarà palese a tutti...anche "all'italiano medio"...
Qui di seguito un articolo che spiega più che bene cosa sta succedendo:


La battaglia di Tsipras ci riguarda tutti
di Thomas Fazi - 23 febbraio 2015

da: http://sbilanciamoci.info/

La battaglia di Syriza riguarda soprattutto gli impossibili obiettivi del Fiscal Compact in termini di avanzi primari. Un problema che riguarda anche l’Italia
 

Per capire perché la battaglia del nuovo governo greco di Alexis Tsipras riguarda tutti i cittadini europei – e in particolare quelli della periferia – dobbiamo innanzitutto tenere a mente che la rinegoziazione del debito non è per Syriza un fine a sé stante, combattuto in nome di un astratto principio di giustizia economica, ma piuttosto un mezzo per realizzare un obiettivo molto preciso: la riduzione dell’avanzo primario dal 4-5% richiesto dalla troika (oggi è intorno al 3%) all’1-1.5% del Pil. Per avanzo primario si intende un bilancio pubblico in positivo, esclusa la spesa per interessi sul debito pubblico: sostanzialmente vuol dire che le entrate (le tasse) superano le uscite (la spesa pubblica). Il motivo per cui un governo sceglie di perseguire un avanzo primario è solitamente quello di destinare il surplus di entrate al pagamento degli interessi sul debito, nella speranza di ridurre un po’ alla volta lo stock di debito.

Nel caso della Grecia questi interessi si aggirano intorno al 4% del Pil, a cui bisogna aggiungere gli obiettivi di riduzione del debito previsti dal Fiscal Compact (1/20esimo l’anno della porzione eccedente il 60% del Pil): considerando che la Grecia ha un rapporto debito/Pil pari al 177% si fa presto ad arrivare all’avanzo primario del 4-5% fissato dalla troika per la Grecia, che nel giro di un paio di anni dovrebbe salire addirittura al 7% (almeno fino al 2030). Se così non fosse, e senza una riduzione della spesa annuale per interessi – che è quello che chiede Syriza, attraverso una ricontrattazione del debito –, l’unica alternativa sarebbe quella di indebitarsi ulteriormente per continuare a ripagare gli interessi sul debito pregresso – che, in sostanza, è quello che vorrebbero la Germania e l’Eurogruppo, e che la Grecia si rifiuta di fare (“perché sarebbe come consigliare a un amico di farsi una seconda carta di credito per ripagare i debiti contratti con la prima carta di credito”, ha dichiarato Varoufakis).

E allora perché non fare come dice la troika e cercare di aumentare ulteriormente l’avanzo primario? Perché non potrà mai funzionare. Né dal punto di vista politico e sociale – la Grecia è già stremata da anni di brutali misure di austerità, e un incremento dell’avanzo primario potrebbe solo essere raggiunto attraverso ulteriori tagli alla spesa pubblica e/o aumenti di tasse, e dunque attraverso ulteriori misure di austerità –, né dal punto di vista economico: accumulare ampi avanzi primari è infatti considerato intrinsecamente recessivo, in quanto di fatto consiste nel sottrarre risorse all’economia reale per destinarle ai creditori, nazionali ed esteri (o, per dirla diversamente, nel sottrarre denaro ai più per alimentare le rendite di pochi). Se poi questa politica viene praticata in un contesto come quello europeo – di bassa inflazione (come quello che registra l’Italia) o addirittura di deflazione (come quello che registra la Grecia) e in assenza di una banca centrale in grado di agire da prestatrice di ultima istanza e di intervenire sui mercati sovrani per calmierare i tassi di interesse (e senza chiedere misure di austerità in cambio) – è puro masochismo, in quanto si può “consolidare” quanto si vuole, ma il debito continuerà inevitabilmente a salire sia in termini reali, a causa dell’effetto recessivo-deflattivo del cosiddetto moltiplicatore fiscale (ulteriormente esacerbato dalle misure di austerità), sia in termini assoluti, perché molti stati non sono in grado di accumulare avanzi primari sufficienti a far fronte agli interessi, e sono dunque costretti a indebitarsi ulteriormente solo per ripagare gli interessi sul debito pregresso (anche se con l’entrata in vigore del Fiscal Compact, che impone il pareggio di bilancio strutturale, questa strada in teoria non è più percorribile). E infatti, a fronte di alcune delle misure di austerità più estreme mai sperimentate in Occidente, nella maggior parte dei paesi dell’eurozona (soprattutto quelli della periferia) il debito continua a lievitare a ritmi vertiginosi.

Questo non è un problema che riguarda solo la Grecia, infatti: in tutti i paesi della periferia la spesa per interessi si aggira tra il 3.5 il 5% del Pil. Il caso dell’Italia è paradigmatico: nonostante il paese registri un avanzo primario fin dai primi anni novanta, il nostro debito pubblico è continuato a salire unicamente a causa della spesa per interessi – che oggi si aggira intorno al 4.5% del Pil, pari a poco meno di 80 miliardi l’anno – per poi esplodere negli ultimi anni. Ora, in base al duplice obiettivo del Fiscal Compact – pareggio di bilancio strutturale e riduzione del debito –, questi paesi dovrebbero mantenere da qui al 2030 avanzi primari da capogiro, come si può vedere nel seguente grafico: 7% in Grecia, 6.5% in Italia, 5.5% in Portogallo, 3.5% in Spagna.

Si tratta di una strada palesemente insostenibile – e che infatti non ha precedenti nella storia – sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico e sociale, per l’entità dei tagli alla spesa pubblica o dell’imposizione fiscale che essa comporterebbe: se consideriamo che lo stimolo fiscale implementato da Obama nel 2009 ammontava al 5.5% del Pil e che il New Deal di Roosevelt era pari al 5.9% del Pil, un avanzo primario delle dimensioni previste dal Fiscal Compact equivarrebbe per molti paesi a una sorta di anti-New Deal praticato ogni anno per i prossimi quindici anni (almeno). Una follia.


Ecco perché la battaglia di Syriza – che riguarda non tanto il debito pubblico in sé quanto le assurde imposizioni del Fiscal Compact in termini di avanzi primari – riguarda tutti i paesi della periferia. E soprattutto l’Italia.
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1 gennaio 2015 
Come primo post dell'anno nuovo ho deciso di pubblicare questa bella pagina di mitologia contemporanea. Come tutte le storie mitologiche pianta le proprie radici in quel mondo misto di fantasia e realtà popolato da Dei e Semidei generati da accoppiate bizzarre che come da tradizione millenaria hanno il potere di condizionare e cambiare l'esistenza di noi semplici umani. 
Good Crisis and Happy New Fear

Alexis Tsipras e gli dei dell’Olimpo.
di Pietro Stara da Umanità Nova - settimanale anarchico

Negli ultimi decenni ha preso corpo, sostanza, fisicità un luogo che forniva numeri al grande capitale: la Borsa. Si è antropoformizzata: corre, avanza, cade, arretra, si rialza, crolla. E come ogni buon essere umano ha paura, ma soprattutto, fa paura: reagisce non solo ad ogni attacco, ma anche ad ogni presunto attacco. Previene e intuisce ciò che potrà capitare e pertanto avverte, redarguisce, invita, sibila, intima di… E come ogni ricattatore e ricattatrice che si voglia rispettare, quando non ottiene ciò che vuole, schianta, inesorabilmente, portando con sé morte e distruzione, ma soltanto a coloro che stanno in basso. E più in basso stanno e più li trascina inesorabilmente verso il baratro. La Borsa è il nuovo Hermes, l’araldo e il messaggero degli dei del Capitalismo, che cerca, mediante i suoi “inganni”, di ristabilire, fra umano e divino, quel contatto che è andato perduto. Platone fa sostenere a Socrate: «Hermes è Dio interprete, messaggero, ladro, ingannatore nei discorsi e pratico degli affari, in quanto esperto nell’uso della parola; suo figlio è il logos.» La Borsa è, dunque, la nuova divinità dell’eloquenza:abile, sottile, persuasiva. L’altro giorno ha nuovamente parlato: “meno 12%” – ha detto – “mi sono fatta male: sono caduta rovinosamente, di nuovo!”. Ha parlato dalla Grecia, dalla grotta scavata nel monte Cillene, la più alta cima del Peloponneso, sul confine tra l’Arcadia e l’Acaia, dove nacque Hermes. La Borsa aveva sentito dire, da un araldo degli dei, che “se ci fossero le lezioni anticipate e se le dovesse vincere un tal semidio di nome Tsipras, figlio di molti padri e madri, Synaspismos, Akoa, Dea, Keda, Energoi Polites, oggi riuniti sotto la dea Syriza, allora sarebbe la rovina non solo per tutta la madrepatria Grecia, ma anche per ogni luogo abitato sino alle colonne d’Ercole.” Questo triste vaticinio è stato subito diffuso dai messaggeri del Capitale, che hanno, ancora una volta, intimato, redarguito, subdolamente avvertito. Tsipras, per chi lo conosce, non ha alcuna intenzione di scardinare Zeus: non aspira a prendergli il posto, a democratizzare la pletora di divinità e a ridistribuire il maltolto. Antico progetto oramai passato in soffitta. Molti emissari del dio Capitale sanno che Tsipras non vuole spaventare la Borsa, ma anzi, cerca di circuirla e di farsi benvolere: “Non dovete aver paura di noi”- tuona Tsipras – “Syriza non sarà la fine dell’Euro. Sarà piuttosto la sua salvezza: se vinceremo le elezioni greche, faremo davvero decollare il progetto di Unione fiscale dell’Europa.” Uno sconto, vuole solo uno sconto, un segno anche minimo: un piccolo soffio vitale, come dopo una guerra disastrosa. Un atto di pietà del vincitore.

“Non è vero” – risponde per le rime Antonis Samaras, figlio della dea Primavera Politica e protetto dal dio Pasok: “Syriza terrorizza i listini!” Mai frase fu più nefasta: che si colpisca la madre, la Borsa, è già cosa grave. Ma punire i “listini”, i suoi nobili figli, è cosa inaudita! Il padre Capitale non potrà mai permettere cosa simile. Già Egli fu magnanimo: diede soldi in gran quantità. Li portò l’FMI. Ma ad una sola condizione: tagliare, tagliare, stroncare!

Intanto la casa brucia. Velocemente.

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Farmacia Sociale
Articolo e fotografie di Random Stories
http://randomstories.altervista.org/author/randomstories/ 
 

Aprile 2014, Atene
I movimenti di solidarietà nati nell’Atene post–crisi hanno attirato la mia attenzione durante la mia permanenza nella polis Greca.
Dopo aver conosciuto la storia della Metropolitan community clinic di Elleniko (http://mkie-foreign.blogspot.gr/) , un ambulatorio gratuito gestito da soli volontari, ho iniziato la mia ricerca e sono giunta alla prima tappa: la farmacia sociale di Vyronas.
La farmacia si trova in via Ellespontou 12, a Vyronas, un quartiere periferico a sud–est di Atene. Dopo aver salito qualche gradino e aver aperto una porta a vetri, quello che sembra un piccolo corridoio di un qualsiasi condominio ti conduce in un grande stanzone suddiviso in due ambienti: sulla sinistra grandi credenze di legno scuro contengono centinaia di medicinali, sulla destra diverse sedie aspettano i pazienti. L’immobile è di proprietà del signor Dimitris, un ex marinaio ormai in pensione, e di sua moglie.

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Quando entro trovo tre signore dietro ad una lunga scrivania intente a scrivere, prendere medicinali dagli scaffali, chiedersi consigli e accogliere le persone.
Una di loro parla italiano, è incuriosita dalla mia ricerca e le spiego come mai mi sta così a cuore. L’ambiente è illuminato solo da una grande finestra sulla parete di fronte all’entrata, non c’è luce elettrica e per questo la farmacia rimane aperta solitamente solo al mattino, dalle 9:00 alle 13:00 circa.
Io e l’amica che mi fa da traduttrice, Chrissa, aspettiamo che Dimitris arrivi per rispondere a qualche mia domanda, mentre sua moglie mi fa del caffè.
Armate di tazze stracolme di caffè alla turca saliamo un piano di scale per entrare in casa di Dimitris. E’ un signore di circa 70 anni, vestito di tutto punto con giacca e camicia, mi guarda con quello sguardo fiero e risoluto che ho trovato spesso nei Greci. Eppure il suo sguardo mi mostra qualcosa di più, una fiducia, una voglia di raccontarmi qualcosa che, lui è sicuro, porterò alla luce. Come poter tradire la sua fiducia.
Gli chiedo subito di raccontarmi com’è nata questa iniziativa, com’è arrivata la voglia di fare qualcosa di buono per gli altri. La risposta è immediata: “questa iniziativa ce l’ha suggerita la vita stessa”. La Grecia, attualmente, ha circa 1.500.000 di disoccupati, la maggior parte dei quali ha perso l’assicurazione sanitaria e che trova quindi difficile fare, banalmente, dei semplici esami del sangue. Non si poteva di certo rimanere a guardare, passivamente. Dimitris fonda nel 2012, insieme ad altri volontari la farmacia, appoggiandosi ai suoi concittadini, medici e farmacisti. Mi dice che collaborano circa 140 medici di ogni specialità, 40 farmacie e 4 laboratori per le analisi.
La farmacia sociale di Vyronas, e cioè tutte le persone che la gestiscono, hanno sentito la necessità concreta di mobilitare le persone e di creare un fronte di solidarietà per quella parte del popolo che soffre.
Mi racconta che in Grecia esistono diverse organizzazioni di solidarietà denominate M.K.O, associazioni no-profit sovvenzionate dai partiti politici e a volte dal governo stesso ma ci tiene a precisare che, loro, non appartengono a questo mondo: non accettano finanziamenti e se qualcuno vuole donare puo’ versare una somma di denaro alle farmacie convenzionate dove la farmacia sociale puo’ andare a rifornirsi di medicinali.
Gli chiedo se ha mai avuto problemi legali, mi risponde secco negativamente e la cosa mi stupisce, ricordo bene di quando il responsabile della comunicazione della Metropolitan di Elleniko ci raccontava delle rappresaglie di giudici e polizia per scovare anche il più piccolo dettaglio illegale per poterli far chiudere. Mi spiega anche che, nella situazione d’oggi, il governo non farebbe mai nulla per fermarli. Soggettivamente, la loro iniziativa aiuta il governo perché offre un servizio a molte persone, non si pensi esclusivamente alle analisi del sangue di routine, si parla anche di casi gravi in cui l’intervento volontario ha salvato le vita di persone che avrebbero potuto morire in poche settimane per la mancanza delle loro medicine. Dimitris sostiene che il governo, nonostante sappia che la farmacia sociale è contraria alla sua politica, non potrà mai attaccarli.
Come ogni struttura, però, anche la farmacia ha delle condizioni per poter distribuire i farmaci: chi va deve essere disoccupato, deve avere un documento che accerti la sua disoccupazione e se non è disoccupato ma indigente deve consegnare una dichiarazione dell’ufficio tasse che comprova il livello di reddito.
Gli chiedo quali farmaci distribuiscono. (Nel formulare la domanda mi scappa un “vendete”. Vengo subito ripresa con un tono duro che mi fa capire quanto queste persone credano nella solidarietà come atto spontaneo e non come merito.)
I farmaci sono per pazienti di ogni tipo: psichiatrici, ammalati di cancro, diabetici ma Dimitris s’interrompe e mi racconta una cosa più importante, una cosa decisamente importante perché, per me, rappresenta l’essenza di questa crisi che non puo’ e non dev’essere indagata solo come miseria, bisogna raccontare anche di come si resiste, non solo di come si muore.

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Mi guarda con attenzione. Mi dice che le iniziative solidali, esplose in tutta la Grecia, hanno dimostrato che c’è una gran parte della società che si unisce in questo dramma, poveri, non poveri, disoccupati, lavoratori, per cercare di sopperire alla mancanza di assistenza sanitaria. Denuncia il governo Greco per la sua inadempienza etica: la Grecia è uno dei pochi paesi che non fornisce un’assistenza di base a chi non ha una buona condizione economica (chi viene curato in ospedale senza il diritto di assistenza certificata si ritroverà poi un conto sulle tasse da cui non potrà certo scappare). La farmacia sociale di Vironas ha cercato di combattere questa vergogna e ci è riuscita, denunciando casi alle direzioni degli ospedali, al ministro, casi in cui alcune donne dovevano partorire ma non avevano l’assicurazione, casi in cui disabili avevano bisogno di interventi chirurgici ma venivano cacciati perché non in grado di pagare e, con le loro denunce e la loro testardaggine, se così vogliamo chiamare un sentimento giusto e spontaneo, sono riusciti a far partorire quelle donne, sono riusciti a far operare quei disabili. Mi dice che ci sono riusciti lottando.
Lotta: contrasto, litigio esploso tra due parti per disparità di interessi, di vedute.
Sono sicura di avere davanti agli occhi la parte giusta.

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Sul sito http://www.keeptalkinggreece.com/ potrete trovare interessanti notizie sulla Grecia in lingua inglese. L'articolo che segue è una traduzione di un articolo presente su keeptalkinggreece

E questo nonostante a queste persone ogni mese siano stati tolti i contributi sociali dalla loro busta paga

La maggior parte dei disoccupati greci - 1,274,843 persone – non riceve alcun sussidio. Secondo l'agenzia di impiego del paese, riporta il blog KTG, solo 102,026 greci inoccupati hanno ricevuto un sostegno monetario ad aprile. La proporzione è meno di uno su dieci. Nonostante negli anni gli siano stati tolti i contributi sociali ogni mese dalla loro busta paga, queste persone hanno la possibilità di ricevere i sussidi solo per un anno da quando perdono il lavoro. I disoccupati di lunga durata, ormai la maggior parte nel tessuto socio-economico del paese, sono così fuori dal sistema sociale greco.

Nella Grecia sotto commissariamento della Troika, il sussidio alla disoccupazione è di 360 euro al mese. Non molto per sopravvivere, figuriamoci per garantire una vita degna alla propria famiglia. E allora, si chiede Ktg, come vivono queste centinaia di migliaia di greci? Chiedendo aiuto a familiari o, più probabilmente, facendo debiti che non saranno mai in grado di pagare.
 

Sapete quanti sono le persone che non hanno ricevuto il sussidio negli ultimi quattro anni? Secondo dati ELSTAT e con il numero di disoccupati in numero, conclude KTG:


2009 9.2% 459,957
2010 11.7% 589,021
 
2011 16.1% 793,769
2012 22.6% 1,095,478
2013 27.2% 1,304,263
2014 26.8% 1,274,843


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In Grecia una tassa "speciale" per vivere nelle proprie case. Il commissariamento della Troika prevede anche la fantasiosa creazione di un "reddito fittizio"
da: http://www.lantidiplomatico.it
 
Secondo il quotidiano greco “Eleftheros Typos”, come riporta KTG, la tassa su redditi "fittizi" sarà calcolata in base al valore della proprietà con un moltiplicatore del 3%. I contribuenti che vivono nelle loro proprietà avranno un carico fiscale addizionale dell'11-13%, solamente per utilizzare le proprie case.


In altre parole, nella Grecia sotto commissariamento della Troika i proprietari immobiliari che vivono nelle loro case saranno chiamati a pagare una tassa "per vivere nella loro abitazione", con l'eccezione dei redditi fittizi di case superiori ai 200 metri quadrati, concessi a figli o genitori per viverci.

La tassa sarà del 10% del reddito fittizio di proprietà superiore ai 12 mila euro e il 33% per ogni valore superiore. Ad esempio per una propietà di 200,000 euro, il reddito fittizio è di 6 mila euro ed il proprietario deve pagare 600 euro per viverci. Questa nuova tassa si aggiunge a quelle già esistenti, regolari e di emergenza, imposte sulle abitazioni e saranno unificate in una unica.

E quindi vivere in una propria abitazione viene considerato come una "presunzione di reddito". E l'ufficio delle imposte calcolerà 40 euro a metro quadro come cifra di riferimento per mantenere la proprietà. E così se un contribuente è disoccupato ma proprietario di un'abitazione di XY metri quadrati, l'ufficio delle imposte creerà un reddito fittiziosu misura: 3,000 euro l'anno per i bisogni di sopravvivenza e 3000 euro per il mantenimento della casa. A cui pagare le rispettive tasse. La proprietà immobiliare è per la Troika la princiaple fonte di rendia. Anche se non produce alcun reddito, come nel caso in cui a viverci sono i proprietari.
La nuova legislazione fiscale della Grecia è chiara ed è entrata in vigore dal primo gennaio 2014: nel reddito dalle proprietà viene considerato anche "il reddito imputabile" dall'uso della propria proprietà, che magari i genitori hanno donato ai figli per vivere senza affitto.
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Grecia, aumenta del 43% la mortalità infantile, dopo i tagli alla sanità dettati dalla crisi



In Grecia,in seguito ai tagli al bilancio della Sanità, imposti dalla crisi, la mortalità infantile nei primi mesi di vita dei bambini è aumentata del 43 per cento. Il dato emerge da un rapporto dei ricercatori delle università britanniche di Cambridge, Oxford e Londra e pubblicato dalla rivista medica del Regno Unito “The Lancet”, la più autorevole nel mondo. L’analisi nei dettagli pubblicata da The Lancet è impressionante, la mortalità infantile è quasi raddoppiata, il numero dei bambini che nascono sottopeso è cresciuto del 19 per cento, il numero dei bimbi nati morti del 20 per cento, la causa principale di questa strage degli innocenti è da imputare al fatto che le mamme incinte non hanno le risorse economiche per far seguire le gravidanze dai medici in quanto la sanità pubblica copre molte meno prestazioni che in precedenza.

dal sito: www.controradio.it

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Grecia: il Consiglio di Stato annulla i tagli…a polizia ed esercito
di Marco Santopadre preso da www.contropiano.org


Il Consiglio di Stato di Atene, il massimo organo amministrativo del paese, ha emesso una sentenza contro i tagli applicati alle forze di polizia e all’esercito nel 2012 su indicazione della troika – Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – creando così un buco di circa 500 milioni di euro nei conti pubblici del paese e facendo imbestialire i rappresentanti dell’Unione Europea. Attualmente i cosiddetti creditori internazionali del governo greco hanno bloccato il versamento di una ulteriore tranche di ‘aiuti’ destinati al ‘salvataggio’ della Grecia e la decisione del Consiglio di Stato non fa che aggravare le tensioni tra il governo ellenico e la troika.
La decisione del tribunale, secondo il quale i tagli salariali del 10% applicati ai poliziotti e ai soldati nel 2012 era inconstituzionale, in realtà non è stata resa pubblica ma comunque è stata confermata da alcune fonti governative e giudiziarie. Alcuni media hanno paragonato la mossa del Consiglio di Stato greco con quelle della Corte Costituzionale portoghese, che in più occasioni ha bocciato tagli e misure economiche decise dal governo di Lisbona sotto dettatura della troika. Ma se nel caso portoghese la suprema corte aveva cancellato misure draconiane destinate a peggiorare la situazione di tutti i pensionati e i lavoratori dipendenti, nel caso greco sembra che a ricevere un trattamento di favore siano solo gli esponenti dei servizi di sicurezza e delle forze armate. In un paese dove il governo fa ricorso spessissimo alle forze di polizia contro chi sciopera e protesta, avranno pensato i giudici, non è il caso di penalizzare e fare arrabbiare i poliziotti. Ma la disparità di trattamento ha generato non pochi malumori nei sindacati del settore pubblico.
Proprio ieri i dipendenti statali della Regione dell’Attica – quella di Atene – hanno scioperato per quattro ore dal lavoro (dalle 10 alle 14) rispondendo all’appello del sindacato Adedy. La protesta è stata convocata contro la decisione del governo Samaras di proibire la manifestazione dell’8 gennaio scorso organizzata ad Atene nell’ambito delle proteste contro l’assunzione da parte della Grecia della presidenza di turno dell’Unione europea e per solidarieta' nei confronti di Pavlos Antonopoulos, membro del Consiglio direttivo del sindacato, arrestato quel giorno dalla polizia perché partecipava alla dimostrazione. Intanto, anche i medici continuano nella loro battaglia contro i tagli alla sanità, ed hanno prolungato fino al 7 febbraio uno sciopero iniziato da settimane. La protesta si rivolge soprattutto contro la decisione del ministero della Sanità di mettere in mobilità circa 1.000 medici, misura ordinata dalla Troika.
Da parte sua il responsabile delle Finanze greco, Yannis Stournaras, ha affermato ieri che la Grecia ha fatto già l’80% della strada verso la salvezza economica anche se, ha detto, rimangono ancora molti sforzi da fare. Lo sanno bene i lavoratori e i pensionati che, a milioni, non sanno come arrivare alla fine del mese, per non parlare dei disoccupati che ormai rappresentano il 27,5% della popolazione attiva.


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Grecia, Schulz scrive "La Troika ha fatto più male che bene"
da http://www.controlacrisi.org

"La struttura della troika si e' rivelata inconcludente per la soluzione dei problemi ed ha fatto piu' male che bene".

Questo è un importante passaggio di un articolo scritto proprio per l'edizione domenicale del quotidiano greco To Vima dal presidente del Parlamento europeo, il socialista tedesco Martin Schulz, oggi ad Atene per presenziare a una conferenza sul tema 'Sud per lo sviluppo'.

"Ogni Paese europeo sta affrontando problemi che l'Europa, il continente piu' ricco del mondo, sembrava aver superato definitivamente - ha scritto il presidente dell'europarlamento -: difficolta' di accesso ai servizi sanitari in Grecia, sfratto di famiglie per il ritardato pagamento della rata di un mutuo in Spagna, la perdita di un'intera generazione di giovani che sono costretti ad abitare con i genitori e ad abbandonare ogni sogno per una carriera o una famiglia proprie".

"Il prezzo che i cittadini europei sono chiamati a pagare era e rimane sconvolgente - continua Schulz -. Ci avevano detto che non avevamo altra scelta, che l'austerita' era l'unica via d'uscita e che la ripresa economica aveva un prezzo che tutti dovevamo essere pronti a pagare. Oggi, in base al rapporto del Fondo Monetario Internazionale, gli economisti dimostrano che le ripercussioni dell'austerita' sull'economia erano state calcolate male...".

"Il rapporto del Fmi dimostra, tra l'altro, che la struttura della troika si e' rivelata inconcludente per la soluzione dei problemi e che ha fatto piu' male che bene - ha scritto l'esponente socialista tedesco -. Ha prodotto maggiore recessione di quella prevista e non e' riuscita a riconquistare la fiducia degli investitori. Ha rallentato la ripresa economica ed ha minato la fiducia verso l'Europa".

"Chiedere 'perdono' non basta - scrive Schulz -. Qualcuno deve assumersi la responsabilita' per i tentativi falliti e le enormi delusioni provocate. Qualcuno deve rendere conto... La commissione Affari Economici del Parlamento europeo sta conducendo un'indagine sull'operato della troika in Grecia, in Portogallo, in Irlanda e a Cipro per capire per quale motivo si sono registrati tanti errori e perche' tante affermazioni, che tre anni fa venivano considerate corrette, si sono invece dimostrate assolutamente errate. Il controllo democratico, dopo tre anni di attesa, puo' finalmente cominciare". "Il danno, pero', e' stato fatto - ha concluso Schulz -. Dobbiamo riconquistare la fiducia verso l'Europa... Molte sono le promesse fatte, che pero' hanno avuto pochi risultati. Dobbiamo moderare le nostre pretese ed agire con modestia. Cio' nonostante, credo ad un Sud per lo sviluppo e ad un'Europa per il Sud e con il Sud".

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In questi ultimi anni il popolo greco è stato sottoposto a pesantissimi sacrifici, fuori dalla Grecia, i governanti, i responsabili delle banche e del Fondo Monetario Internazionale si vantavano di "aiutare" la Grecia mentre invece pensavano...come sempre...al proprio esclusivo interesse. Queste non sono certo delle novità. La novità è questa ricerca curata da da Attac Austria e riportata nell'articolo di Alessandro Bramucci dove con numeri e percentuali si spiega cosa è realmente successo mentre a gran voce dicevano di "aiutare la Grecia".  

Gli aiuti per la Grecia? Nelle tasche della finanza.
di Alessandro Bramucci da www.sbilanciamoci.info.


77 percento dei 206 miliardi di aiuti, distribuiti in 23 tranches alla Grecia da Ue e Fondo monetario, è finito nelle tasche della finanza. La denuncia in un rapporto di Attac Austria
In un report apparso nel mese di giugno sul suo sito, Attac Austria ha pubblicato i risultati delle ricerche sulla destinazione degli aiuti economici ricevuti dalla Grecia dall’inizio della crisi.

Dal marzo del 2010 la Grecia ha ricevuto un totale di 206,9 miliardi di euro suddivisi in 23 tranche da Unione europea e Fondo monetario internazionale. Tuttavia non è stata prodotta alcuna documentazione che riportasse l’utilizzo effettivo di tali risorse. Attac Austria ha quindi deciso di approfondire la questione arrivando a scoprire che il 77% del totale dei fondi di salvataggio sono finiti direttamente o indirettamente nelle tasche della finanza. Il materiale è disponibile sul sito di Attac Austria in tedesco ed inglese.

È necessario prima di tutto un breve riepilogo dei due programmi di salvataggio ricevuti dalla Grecia fino ad oggi. Il primo è stato deciso all’inizio del maggio 2010 tra Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale (dopo che il paese ne aveva fatto ufficialmente richiesta il 23 aprile dello stesso anno). Il prestito ha raggiunto i 110 miliardi di euro, di cui 80 messi a disposizione dai paesi dell’Eurozona e 30 dal Fmi. Dei 110 miliardi, 73 sono stati effettivamente trasferiti mentre i restanti 34 sono passati al secondo programma di aiuti.

Il 21 febbraio 2012 è partito il secondo programma di aiuti sulla base delle decisioni prese nel luglio dell’anno precedente. La somma del secondo pacchetto ammonta a 172,6 miliardi di euro, di cui 144,6 messi a disposizione da Efsf e 28 dal Fondo monetario. Dal marzo 2012 al momento della stesura del report di Attac (giugno 2013) del secondo pacchetto di aiuti il paese ha ricevuto 133,891 miliardi.

Le ricerche di Attac Austria hanno rintracciato le destinazioni dei pagamenti sia con l’ausilio di documenti ufficiali sia utilizzando fonti alternative come media e giornali. Il documento specifica in dettaglio la destinazione delle risorse: 58,2 miliardi (28,13%) sono stati utilizzati per la ricapitalizzazione del settore bancario e 101,331 miliardi (48,89%) sono andati ai creditori dello stato greco, di cui 55,44 miliardi sono stati utilizzati per coprire la scadenza di titoli di stato, invece di lasciare ai creditori il peso del rischio per il quale erano già stati indennizzati dal pagamento degli interessi, aggiunge il report di Attac. Altri 36,6 miliardi sono serviti come incentivo per fare accettare ai creditori l’haircut del marzo 2012, mentre 11,3 miliardi sono stati utilizzati per ricomprare pezzi di debito senza valore.

Lisa Mittendrein, responsabile nazionale di Attac Austria afferma: “L’obiettivo delle elite politiche non è quello di salvare la popolazione greca ma il settore finanziario del paese. Centinaia di milioni di euro di risorse finanziarie pubbliche sono stati utilizzati per salvare le banche ed altri istituti finanziari dalla crisi finanziaria che loro stessi hanno causato”.

La destinazione dei fondi alla Grecia documentato dalle ricerche di Attac si scontra pesantemente con l’interpretazione pubblica delle politiche europee di salvataggio del paese, distorta ad arte dalle elite politiche le quali hanno sostenuto fosse la popolazione greca a trarre vantaggio dai prestiti internazionali. È scandaloso, aggiunge Lisa Mittendrein, che la Commissione europea abbia pubblicato report da centinaia di pagine senza specificare dove finissero effettivamente questi soldi.

Ad aver beneficiato dei fondi sono state banche come Eurobank Ergasias, posseduta dalla famiglia Latsis una delle più ricche del paese e speculatori come l’hedge fund Third Point, che hanno intascato 500 milioni di euro dal riacquisto del debito nel dicembre 2012. Come commenta Lisa Mittendrein, “la solidarietà con la Grecia espressa dal Presidente della commissione europea Barroso non si capisce verso chi sia stata”.

Dei 43,6 miliardi (22,46%) destinati alle finanze pubbliche più di 34,6 miliardi sono stati pagati ai creditori sotto forma di interessi, senza considerare che 10,2 miliardi sono andati alle spese militari, sembra sotto pressione dei governi di Berlino e Parigi che avrebbero voluto proteggere gli interessi delle industrie militari nazionali.

Le elite politiche, incalza ancora il report di Attac, nei cinque anni di crisi internazionale hanno fallito anche nell’implementare quelle riforme necessarie per la regolamentazione del settore bancario e dei mercati finanziari, riforme necessarie proprio ad evitare il ripetersi di episodi come questi dove i contribuenti sono costretti a pagare le perdite degli istituti di credito. I governi devono sottrarre questa capacità di ricatto del settore bancario. Ancora peggio, aggiunge il report citando fonti Reuters poi confermate da Marica Frangakis di Attac Grecia, per beneficiare dei miliardi di aiuti pubblici le banche greche hanno utilizzato pratiche poco trasparenti per passarsi a vicenda da conti offhsore prestiti non coperti in modo da attrarre capitale privato ed avere le condizioni per ricevere i fondi di salvataggio.

Occorre prima di ogni cosa maggiore trasparenza da parte delle istituzione internazionali unita ad un cambio radicale di politiche nella gestione della attuale crisi europea e che si evitino in particolar mode manipolazioni utilitaristiche dell’elettorato. Come afferma Lisa Mittendrein, “dopo tre anni di austerità la Grecia ha bisogno di un pacchetto di aiuti che raggiunga davvero la popolazione”.

Il report si conclude con una serie di episodi tanto bizzarri quanto inquietanti scoperti durante le ricerche. Unione europea e Fondo monetario hanno più volte smentito o rimandato di settimane e mesi gli accordi sui pacchetti di salvataggio per esercitare pressioni sulla democrazia greca, nell’autunno del 2011 per evitare il referendum nazionale sulle politiche di austerità e nel maggio-giugno del 2012 per aumentare le probabilità di elezione di partiti vicini alla troika. Con questo gioco perverso di promesse e smentite il governo greco è stato costretto ad emettere titoli a scadenza soggetti ad elevati tassi di interesse. Difficile quindi credere che le istituzioni internazionali avessero davvero a cuore la situazione delle finanze pubbliche greche se hanno forzato il governo di Atene al ricorso a tali misure.

Nel giugno del 2012 una tranche dei fondi del valore di un miliardo è stata utilizzata per finanziare il contributo obbligatorio della Grecia alla creazione del Mes. In sostanza la creazione del Mes ha comportato non solo l’impiego del capitale del precedente Efsf ma anche l’utilizzo di fondi pubblici di quei paesi che il fondo europeo servirebbe a sostenere.

Ma non basta. Klaus Regling, il direttore del Efsf e del Mes nella sua carriera si è alternato piu volte tra grande finanza e politica. Prima di assumere la carica al Efsf ha lavorato per il governo tedesco, per l’hedge fund Moore Capital Strategy, come direttore generale della commissione Economia e affari finanziari della Commissione europea sia per l’hedge fund Winton Futures Fund Ltd. Regling rappresenta il simbolo dell’intreccio tra finanza e politica il quale spiega in parte perché gli aiuti siano finiti in gran parte al settore finanziario.
Una nota negativa arriva dai costi di gestione del Efsf. Nel 2011 il personale che ha gestito il fondo (12 dipendenti) è costato ben 3,1 milioni di euro, una media di 258.000 euro a testa. Al direttore Regling sono stati corrisposti 324.000 euro annuali più eventuali extra. Queste sono le persone, conclude il report di Attac, che hanno deciso per la riduzione del salario minimo mensile a 580 euro in Grecia (510 per i giovani)



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Dittatura Culturale

Ho ricevuto questa lettera dal cantante Vinicio Capossela e ho deciso di pubblicarla sul blog perché oltre a denunciare un problema occupazionale nell'ambito dell'istruzione è sintomatica di come la crisi modifichi le scelte culturali e alcune imposizioni siano ormai all'ordine del giorno nella scuola greca. L'associazione degli insegnanti della lingua italiana in Grecia si è rivolta a Vinicio Capossela nella speranza di far emergere un grave problema rispetto all'insegnamento della lingua (e della cultura) italiana. Come avrete modo di leggere nella lettera che riporto di seguito, il ministero dell'istruzione greco scoraggia apertamente l'insegnamento della nostra lingua a vantaggio della lingua tedesca e francese.
Che ci sia una spinta verso il francese e il tedesco questo mi sembra logico, (non dico giusto) visto la situazione di servilismo a cui è ridotta la Grecia in questi ultimi anni.
La programmata invasione della Grecia da parte delle multinazionali francesi e tedesche deve in qualche modo essere supportata anche culturalmente, quindi iniziare a preparare la futura classe lavorativa con l'insegnamento di lingue più consone ai nuovi datori di lavoro è purtroppo una triste realtà. Quello che è vergognoso è come da parte delle istituzioni dell'istruzione greca ci sia una sistematica oppressione delle libertà di scelta degli studenti, questo è veramente ancora più grave. Intervenire in maniera coercitiva su una libera scelta dell'alunno vuol dire iniziare a educare alla non-libertà di scelta e questo se fatto sistematicamente porterà ad una futura società più obbediente e rassegnata...così come la vorrebbero.


Associazione Panellenica degli insegnanti d’italiano

Gentile Signor Capossela,

siamo i rappresentanti dell’Associazione degli insegnanti d’italiano in Grecia, laureati nei dipartimenti di Italianistica delle Università di Atene e Salonicco.

Conoscendo la sua sensibilità per i temi culturali che legano i nostri due paesi, figli di una stessa millenaria cultura, e soprattutto sapendo di poter fare affidamento sulla sua nota capacità d’indignazione di fronte alla palese ingiustizia, vorremmo denunciare l’incresciosa situazione nella scuola media greca per quanto concerne la posizione della lingua italiana, seconda lingua comunitaria, nel sistema educativo del nostro paese.

Dal 2008-2009, dopo quindici anni di attesa, è stato finalmente introdotto l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua comunitaria nelle scuole medie greche. Oltre all’inglese, prima lingua straniera obbligatoria per tutte le scuole, gli studenti greci da subito – dovendo scegliere una seconda lingua tra francese, tedesco, italiano e spagnolo – hanno mostrato una netta preferenza per l’italiano, tanto che nell’anno scolastico 2010-2011, dopo solo due anni, la lingua italiana è stata insegnata a circa 30.000 alunni in oltre 700 scuole medie sparse in tutto il paese, utilizzando, secondo dati forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione, accanto ai trentadue insegnanti in ruolo, ben 205 supplenti a orario pieno e 130 a orario ridotto, per un totale di 362 insegnanti.

La richiesta di lingua italiana nella scuola media è stata dunque altissima e il nostro ex ministro della Pubblica Istruzione, la signora Diamantopoulou , avrebbe dovuto, anche solo per rispettare la preferenza espressa da migliaia di alunni, rivedere la pianificazione ministeriale per le lingue straniere, immettendo in ruolo un numero adeguato d’insegnanti di Italiano, oltre a introdurne l’insegnamento fin dagli ultimi due anni della scuola elementare, come già accadeva per il francese e il tedesco.

È iniziata invece una vera e propria guerra nei confronti della lingua italiana: sono stati spinti gli studenti a rivedere le proprie scelte, forzandoli a scegliere il francese o il tedesco, e gli stessi Direttori Scolastici e i Presidi sono stati costretti, in alcuni casi anche forzatamente, a sciogliere le classi d’italiano e a distribuirne gli alunni nelle classi di francese e di tedesco. Tali pratiche sono state esplicitamente ammesse dallo stesso Ministero della Pubblica Istruzione Greco in risposta al ricorso in sede legale intentato dalla nostra Associazione di Insegnanti di Italiano in Grecia, INITAL, motivando tali pratiche inique con la necessità di utilizzare insegnanti di francese o di tedesco in sovrannumero.

L’anno scolastico 2011-2012 si è così avviato sotto i peggiori auspici per l’insegnamento dell’Italiano. Il decreto ministeriale del 24-6-2011 (Numero Protocollo 71103/Γ2), a firma dell’ex sottosegretario Christofilopoulou, poneva come condizione vincolante per l’insegnamento della seconda lingua comunitaria in una scuola l’esistenza di un insegnante in organico di diritto nella scuola stessa. Se considerate che ci sono 3600 insegnanti di ruolo di francese (di cui 2500 in soprannumero) e 1700 di tedesco (di cui 700 circa in soprannumero), a fronte di soli 32 insegnanti di ruolo di Italiano, vi potrete fare un idea della catastrofe cui va incontro l’insegnamento della lingua italiana, se non si procede a nominare in ruolo un numero adeguato di insegnanti e li si tratti in modo equo rispetto ai colleghi di francese e tedesco, equità che finora e’ stata negata sia a noi che ai nostri alunni. Così quest’anno l’insegnamento dell’italiano si è ridotto solo a 8 scuole in tutta la Grecia, rispetto alle 700 scuole dell’anno scorso ; è ovvio che la scusa della crisi economica è stata una grande bugia, perché gli insegnanti di ruolo di francese e di tedesco sono stati nominati in numero molto superiore alle reali esigenze di apprendimento degli alunni che vorrebbero imparare queste due lingue, a discapito dei ragazzi che avrebbero voluto imparare l’italiano .

L’atteggiamento discriminatorio nei confronti della lingua italiana da parte dell’ex Ministero della Pubblica Istruzione greco (forse anche sotto la pressione dei governi francesi e tedeschi) è più che evidente. Per le elezioni del giugno 2012 il grande numero degli insegnanti di francese e di tedesco di ruolo che rischiavano di perdere il loro lavoro a causa del successo della lingua italiana, si è tradotto in voti per il partito allora all’opposizione, che si è ritrovato a governare in un’alleanza di larghe intese col partito in precedenza al governo. Ogni anno migliaia di alunni scelgono di imparare la lingua italiana e alla fine si trovano costretti ad apprendere il francese o il tedesco. Senza l’immissione di nuovi insegnanti d’italiano in ruolo nella scuola media, l’insegnamento della vostra bella lingua è destinato a spegnersi completamente.

La diffusione della lingua e della cultura italiana in Grecia non porta benefici solo a noi che la insegniamo, ma anche allo stato italiano poiché per la Grecia l’Italia rappresenta la meta più vicina per studenti universitari o post-laurea, e inoltre nel mercato greco del lavoro la lingua italiana è considerata uno strumento d’inserimento professionale rilevante; con l’Italia esistono molteplici rapporti sia nel settore turistico sia in quello commerciale, ma lo stato italiano perderà così sempre più terreno in Grecia nel settore commerciale e turistico rispetto alla Francia e alla Germania. Si tratta di un fenomeno in parte spiegabile con i pregiudizi e il razzismo nei confronti dei cosiddetti paesi PIGS!

Nonostante noi insegnanti di Italiano abbiamo superato il previsto concorso a cattedra per accedere all’insegnamento nelle scuole al pari degli insegnanti delle altre lingue, e soprattutto vi sia una forte domanda di lingua e cultura Italiana, il nostro attuale Ministro della Pubblica Istruzione Arvanitopoulos e il sottosegretario Papatheodorou, grande estimatore della lingua francese, insistono nella loro politica ottusa e discriminatoria. Nel settembre dell’anno scolastico 2012-2013, il sottosegretario Papatheodorou, contando le pochissime scuole dove è praticato l’insegnamento dell’italiano, per le cause di forza maggiore di cui si è appena parlato e non certo per mancanza reale d’interesse, ha dichiarato che la lingua italiana non ha richiesta dagli studenti!

Siamo proprio noi, i 362 insegnanti di Italiano, che diffondiamo la lingua e la cultura italiana in Grecia, senza alcun sostegno o aiuto da parte dello Stato Italiano, a differenza dei colleghi di francese e di tedesco che hanno un continuo e totale sostegno da parte dei rispettivi istituti culturali nazionali in Grecia. Nonostante ogni mese di maggio gli alunni scelgano la lingua che desiderano imparare per l’anno scolastico successivo, in settembre viene rispettata solamente la scelta di coloro che scelgono il francese e il tedesco, ma non la scelta dell’ altissimo numero di studenti che hanno scelto l’italiano. È impressionate che dal 2008, gli alunni che scelgono l’italiano e i presidi delle scuole medie che sostengono la loro scelta, subiscano atti di razzismo e propaganda contro la loro lingua preferita. Noi insegnanti d’italiano, gli alunni e i loro genitori abbiamo protestato senza risultato. Sul nostro sito www.inital.gr potete trovare altre informazioni utili sia in greco sia in italiano, ma il miglior modo per attingere informazioni e chiarimenti al riguardo e’ rivolgersi all’ambasciatore italiano a Atene e alla Direttrice dell’Istituto di Cultura Italiana di Atene, che sono al corrente della situazione e che teniamo costantemente aggiornati degli sviluppi del caso.

Siamo a sua disposizione per qualsiasi chiarimento e la ringraziamo anticipatamente per il supporto che ci vorrà dare.



Il Presidente Generale Georgios Popetsidis

Il Segretario Generale Vaggelis Katsigos







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Un paese senza medicine
articolo tratto da "L'internazionale" http://www.internazionale.it

Ad Atene, in Grecia, il 12 dicembre 2012. (Yorgos Karahalis, Reuters/Contrasto)

La Grecia sta affrontando una grossa carenza di medicinali e alcune multinazionali hanno fermato le spedizioni di farmaci. Una cinquantina di aziende farmaceutiche sono accusate dal governo di Atene di aver tagliato le scorte al paese perché i prezzi dei medicinali sono troppo bassi rispetto alla media europea.

Più di 200 medicinali sarebbero stati bloccati, inclusi quelli per curare artrite, epatite C e ipertensione, oltre ad antibiotici e anestetici.

Il 26 febbraio la Croce rossa svizzera ha annunciato che sospenderà le sue scorte di sangue agli ospedali greci perché lo stato non ha pagato i debiti.

I farmacisti di Atene, riporta il Guardian, raccontano scene caotiche: clienti disperati vanno da una farmacia all’altra, chiedendo le medicine che gli ospedali si rifiutano di consegnare.

Questo mese sarà cruciale, perché i funzionari e i creditori greci, la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea dovranno trovare un accordo sulla spesa farmaceutica pubblica.

Altri tagli rischiano di mettere i pazienti “in condizioni critiche”, secondo il professor Yannis Tountas, membro dell’organizzazione farmaceutica nazionale. Nel 2011 il budget pubblico per i farmaci era stato di 3,7 miliardi di euro ed è sceso a 2,44 miliardi lo scorso anno.
Link all'articolo del Guardian (in inglese)
http://www.guardian.co.uk/world/2013/feb/27/greece-blames-drug-companies-shortages

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La Grecia sta affrontando una crisi umanitaria

di Alex Politaki 
Gli standard di povertà della Ue mostrano una Grecia in piena crisi. Ma gli Stati membri non ammetteranno mai che la colpa sia del loro ‘salvataggio’

memmt.info: “Mai e poi mai la Grecia avrebbe fatto qualche progresso senza l’euro”.
Mario Monti (20/09/2012)

La società civile europea normalmente associa le crisi umanitarie a situazioni conseguenti  disastri naturali, epidemie, conflitti, guerre civili. Che una crisi del genere si potesse verificare in un Paese europeo, specialmente se membro dell’Unione, sembrava fuori discussione per la maggior parte di noi.
Eppure un buon numero di esperti sosterrebbe che la Grecia sia attualmente nel bel mezzo di una crisi umanitaria. Il capo di Mèdecins du Monde, Nikitas Kanakis, la più grande e illustre NGO in Grecia, fu tra i primi a dichiararlo apertamente. In particolare l’area portuale di Perama, vicino ad Atene, è nel bel mezzo di un disastro umanitario. L’associazione medica di Atene, la maggiore associazione di professionisti per la sua categoria, ha perfino spedito una lettera formale all’ONU chiedendo un intervento.
Se finora si è parlato poco di questa crisi umanitaria, è per precise ragioni politiche. Ammettendo la criticità della situazione, il governo greco e la Ue avrebbero anche ammesso che all’attuale situazione si sia giunti a causa del cosiddetto “salvataggio” economico della Grecia. Per questo le autorità hanno scelto la linea del silenzio.
È vero che non esiste un parere comune su come si possa definire una crisi umanitaria, ma la definizione che viene usata da chi ha esperienza sul campo è pratica e inequivocabile. Una crisi umanitaria è di solito caratterizzata da povertà crescente, un’amplificata diseguaglianza nell’accesso all’educazione e ai servizi sociali, e scarso accesso ai servizi del welfare. Indicatori particolarmente importanti sono la diminuzione dell’accesso a servizi primari riguardanti la salute, a esami medici, a ricoveri e medicazioni. In altre parole: quando vedi una crisi, non puoi scambiarla per qualcos’altro.
La Grecia non avrebbe mai immaginato di dover affrontare una crisi umanitaria. Secondo il “UN Human Development Index” (indice di sviluppo umano dell’ONU), nel 2008 la Grecia era posizionata al 18° posto al mondo. Nessuno nel Paese avrebbe mai pensato che questa situazione potesse cambiare in modo così radicale.
Quell’offerta dalle istituzioni e dai meccanismi dell’Ue rappresentava una falsa sicurezza. Gli Stati membri hanno pagato un prezzo per questa sicurezza immaginaria, conciliando una situazione economica impegnativa con criteri politici. Il paradosso è che perfino l’Ue, che dovrebbe essere garante della sicurezza e della prosperità degli Stati membri, ha dei parametri molto ben definiti per misurare la povertà, sia in maniera assoluta che in maniera relativa, che dimostrano come in Grecia esista effettivamente una crisi umanitaria.
Sulla base dei criteri e dei dati della Ue, la Grecia è un Paese in seria povertà. Nel 2011, il 31,4% della popolazione (3.4 milioni di persone) viveva con un reddito al di sotto del 60% del reddito medio nazionale. Allo stesso tempo, il 27,3% della popolazione (1.3 milioni di persone) erano a rischio di povertà. Non sono ancora disponibili i dati per il 2012, ma la situazione è sicuramente peggiorata.
Secondo ulteriori indicatori europei, una grande fetta delle famiglie greche vive in condizioni di “privazioni materiali”. In realtà, poco più dell’11% vive in condizioni di “estreme privazioni materiali”, il che significa non avere abbastanza riscaldamento, elettricità, e non avere accesso a macchine o telefoni. Significa anche condurre una dieta povera, con assenza di consumo di carne o pesce nell’arco della settimana, così come una totale o parziale incapacità di sostenere spese dovute a emergenze o pagamenti di affitti e bollette.
L’inefficacia dei programmi europei per il reintegro dei disoccupati nel mercato del lavoro e la mancanza di un programma di protezione sociale nazionale hanno spinto la Grecia perfino al di sotto della soglia della povertà. Il tasso di disoccupazione nella popolazione adulta era del 26,8% a ottobre 2012. Questo livello, sebbene alto rispetto al recente passato, non dà ancora un’autentica idea della situazione reale.
Non tiene conto, per esempio, della disoccupazione generata dal fallimento di migliaia di piccole imprese. I lavoratori poveri dovrebbero essere sommati ai disoccupati, per esempio lavoratori con paghe talmente basse da non riuscire a soddisfare i bisogni primari. Stabilendosi al 13% della forza lavoro, rappresentano la percentuale più alta di lavoratori poveri nell’eurozona.
Ci sono altri tre indicatori che ci portano a parlare di crisi umanitaria. Primo: il numero dei senzatetto è cresciuto a dei livelli senza precedenti per un Paese europeo; stime non ufficiali li quantificano in 40.000. Secondo: la proporzione di persone che si affidano alle cure mediche delle NGO ha raggiunto in alcuni centri urbani il 60% del totale nel 2012. Questa situazione sarebbe stata impensabile solo tre anni fa, visto che questo genere di servizi era di solito rivolto agli immigrati, non ai greci.
Terzo: c’è stata una crescita esponenziale delle mense dei poveri e in generale nella distribuzione del cibo ai bisognosi. Non ci sono dei dati ufficiali, ma la Chiesa greca distribuisce circa 250.000 razioni al giorno, mentre un numero imprecisato di porzioni è distribuito dalle autorità municipali e dalle NGO. Per recente ordine del governo, le razioni municipali saranno aumentate ulteriormente a causa dell’incremento del fenomeno degli svenimenti dei bambini a scuola, dovuti a un apporto calorico troppo basso. Saranno anche forniti pasti leggeri ai giovani studenti.
Le prove della povertà, della disuguaglianza e dell’incapacità di accesso ai servizi primari confermano le crescenti e disperate dichiarazioni fatte da persone che si trovano in prima linea. Il Paese è diventato il campo di un’azione umanitaria, e dovrebbe essere trattato per quello che è. È vergognoso che il governo greco e la Ue chiudano gli occhi di fronte a tutto ciò. La comunità umanitaria internazionale dovrebbe rispondere con urgenza.

Traduzione a cura di Michele Cucca.
Originale disponibile qui: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/feb/11/greece-humanitarian-crisis-eu

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PUBBLICATO IL: 24 GENNAIO 2013
Questa è una interessantissima testimonianza rilasciata da un'operatore di una struttura sanitaria autogestita. Il testo è abbastanza lungo ma vi assicuro che è veramente interessante e dice delle cose per niente scontate e inedite nel panorama sanitario. Prendetevi una mezz'oretta di tempo e leggetelo con attenzione. Proponetelo alla lettura di altri vostri amici. Vi piacerà
Per altre informazioni sul tema Economia Alternativa in Grecia vi rimando a questo LINK
 
Intrvista ad un operatore dell'ambulatorio medico autogestito di Petralona (Atene).

Ci piacerebbe cominciare chiedendoti un breve racconto della vostra esperienza. Attraverso questo racconto vorremmo indagare sia circa i cambiamenti prodotti dalla crisi nel sistema sanitario greco, sia come il vostro progetto è stato trasformato da questi cambiamenti.
Dunque, il progetto è iniziato dopo la rivolta di dicembre 2008. Durante la ribellione c’era un gruppo di lavoratori della sanità, dottori e farmacisti, che si sono uniti con altre persone che a quel tempo non avevano niente a che fare con il sistema sanitario e hanno deciso di aprire una discussione circa l’autorganizzazione nella sanità. Abbiamo discusso di molte cose… della situazione negli ospedali, di come la situazione dell’assistenza sanitaria ha effetti sociali e di come le condizioni sociali influenzano la sanità. Insomma, abbiamo aperto un discorso sulla salute in senso generale. Uno dei progetti era quello di occupare un ambulatorio abbandonato da anni dallo stato, in un quartiere di Atene. Il progetto è cominciato nel marzo del 2009. Lo abbiamo portato avanti insieme all’assemblea locale di questo quartiere di Atene, chiamato Petralona. Petralona è un quartiere di circa 15-20.000 persone. Nonostante ciò, ospita una delle più grandi e storiche assemblee locali. Alcune persone facenti parte dell’assemblea dei lavoratori della sanità di cui sopra erano anche membri di questa assemblea locale. Così ci hanno invitato a partecipare e nel marzo del 2009 c’è stata l’occupazione. La nostra idea originaria non si era ancora scontrata con la crisi, poiché non era così ovvio ciò che sarebbe successo nei mesi e negli anni successivi. Il nostro scopo principale non era soltanto offrire un servizio a quella parte di società che non era coperta da un’assicurazione [sanitaria] o che non aveva accesso agli ospedali e all’assistenza sanitaria. Il nostro scopo principale era, in maniera più generale, un diverso approccio alla sanità. Quindi noi volevamo esistere in una maniera diversa, approcciarci ai pazienti diversamente e avere prospettive differenti. Per esempio, noi crediamo che la salute sia qualcosa di cui tutti dovrebbero preoccuparsi, perché chiunque nel corso della propria vita può avere un problema con il proprio stato di salute e aver bisogno di assistenza medica o di un ricovero. Inoltre, dovremmo anche considerare che la salute ha a che fare quasi con ogni cosa: è quello che respiriamo, quello che mangiamo, quello che pensiamo, lo stato delle relazioni con la famiglia, con gli amici… il modo in cui lavoriamo. La depressione sul lavoro è una cosa molto importante che causa danni sanitari, questo è affermato anche dalla letteratura medica ufficiale. La salute è allo stesso tempo qualcosa di veramente generico e di molto complesso, perciò abbiamo cercato di approcciarci alle cose dalla radice, sin dall’inizio. La nostra priorità non è dare un antidolorifico a chi ha dolore, la nostra priorità è mostrare al quartiere quali sono i problemi di salute che possono venire fuori da alcune industrie, dall’aria inquinata, dai ristoranti e dai bar che hanno la musica ad un volume alto e non permettono ai bambini di giocare perché hanno le sedie nel mezzo delle strade, cose del genere. Così è come abbiamo cominciato. Nel corso degli anni le cose sono cambiate ed ora, se parliamo di successo in termini numerici, vanno anche molto meglio: molte più persone vengono da noi perché non hanno accesso al sistema sanitario ufficiale.
Questo ci concede l’opportunità di parlare con loro, di aprire alcune discussioni, rispetto a come questa situazione si è generata, a chi ne ha le responsabilità, a come il potere, e intendo i governi e le persone che prendono le decisioni, abbiano lasciato andare le cose in questa direzione. Allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di discutere della nostra responsabilità, non soltanto quella di aver lasciato che queste cose accadessero a causa della neutralità, a causa dell’isolamento nelle case, della chiusura nel privato, della mancanza di partecipazione alla resistenza sociale, dell’aver lasciato che altra gente, i partiti, le autorità prendessero le decisioni più importanti sulle nostre vite. Anche il passo successivo è stato qualcosa di davvero delicato, perché tocca le nostre posizioni personali sulla salute e le nostre esperienze personali circa quest’ultima. Intendo dire che tutti siamo stati influenzati politicamente e culturalmente dall’ambiente sociale in cui viviamo, perciò quando stiamo male o quando siamo malati abbiamo paura di morire e vediamo i dottori come degli dei che faranno miracoli per farci continuare a vivere. Questa è una parte. L’altra parte è che allo stesso tempo siamo lavoratori, e il nostro capo ci chiede di essere in salute per essere produttivi, così ci curano meccanicamente. Un altro fattore è che quando siamo vecchi, attorno ai 75-80 anni, vogliamo vivere anche solo un altro giorno, a qualsiasi costo. Così la questione della qualità della vita è molto delicata perché le persone potenti la tirano fuori quando si tratta di abbattere i costi dell’assistenza sanitaria, ma tale questione è basata su un concetto sociale e culturale che abbiamo nelle nostre menti, nel profondo della nostra mentalità. Ovviamente noi siamo troppo piccoli per dire a tutti che dovrebbero affrontare questo genere di decisioni in un modo diverso, ma quello che proviamo a fare è aprire la discussione con ogni uomo, ogni donna che arriva da noi. Ecco, in sostanza è questo il nostro obiettivo. Un obiettivo radicato nel regno del desiderio: il desiderio di cambiare la nostra vita, il nostro modo di lavorare, di relazionarci ai pazienti, di relazionarci con chiunque, perfino quando il nostro status socioeconomico era differente rispetto a quello che abbiamo ora.
Ok. Una delle cose più interessanti per noi è che il vostro progetto prova ad andare oltre le categorie di dottore e paziente, cambiando in questo modo lo stesso lavoro del medico. Per esempio, facendo circolare alcune conoscenze fra le persone che arrivano da voi. Quindi vorremmo capire meglio come il lavoro nella clinica occupata è diverso dal lavoro di un medico negli ospedali pubblici e nel sistema sanitario ufficiale. Praticamente, quali sono le maggiori differenze? E come cambia il comportamento dei pazienti che arrivano lì?
Se vuoi vedere a che punto sei e valutare il tuo lavoro, devi anzitutto capire quali sono i tuoi obiettivi. Durante questo processo dell’assemblea e dell’occupazione abbiamo avuto un ricambio, un nuovo inizio, perché troppe persone sono andate via e abbiamo stretto una connessione più forte con l’assemblea che sentiva di dover ri-orientare quello che eravamo e quello che stavamo cercando di realizzare. Noi abbiamo una storia di tre anni e mezzo, quasi a metà di questa storia abbiamo effettuato questa rivalutazione ed era perfettamente chiaro, a quel tempo, che noi eravamo un gruppo di lavoro dell’assemblea locale. É stato proprio quello il momento in cui ci siamo prefissati quattro differenti obiettivi. Il primo obiettivo era il più ovvio: offrire aiuto medico alle persone che lo cercavano. Ovviamente questo è solo un titolo, c’è da dire di più. Questo punto potrebbe facilmente essere caratterizzato come un obiettivo tecnico e, per questo motivo, è considerato come il meno importante di tutti. Si tratta di qualcosa che, chiaramente, non abbiamo inventato noi. Un progetto che può essere realizzato anche da un’organizzazione non governativa pienamente finanziata dallo stato o dalle aziende (ovviamente noi non abbiamo nessun tipo di relazione con le istituzioni ufficiali). Era chiaro fin dall’inizio che offrire semplicemente aiuto medico, senza un chiaro progetto politico dietro, senza una lotta contro le decisioni politiche che distruggono la sanità e senza la solidarietà con le altre parti del movimento antagonista, poteva facilmente scivolare nella carità ed era qualcosa che non ci interessava. Il secondo obiettivo era combattere la vacuità della relazione tra medico e paziente, che è una relazione profondamente autoritaria. Come ho spiegato in precedenza, quando il dottore ti visita è come un teatro: lui indossa vestiti costosi, ha un sacco di attestati al muro per mostrare di essere una persona veramente importante, che tu devi tenere in considerazione e di cui, magari, devi anche aver paura. Ti esaminerà quanto più velocemente possibile e ti getterà una diagnosi in faccia dicendo “questa è la mia opinione e dovresti prendere queste pillole. Ciao, ciao”. Magari è una brava persona e ti chiederà della tua famiglia. Questo è quanto!
Ed è proprio quello che vogliamo combattere, per diverse ragioni. Non perché noi non crediamo nella medicina occidentale, perché nei movimenti sociali ci sono tante discussioni su questo. Noi crediamo fortemente nella medicina occidentale, ma crediamo che sia stata invasa dalla commercializzazione, così profondamente da aver cambiato i suoi stessi tratti distintivi. Cosa intendo dire? Sappiamo per certo, e persino loro lo ammettono, che ci sono degli studi clinici, grandi e seri studi clinici, che sono soggetti a errori sistematici, che sono soggetti all’influenza del danaro elargito dalle compagnie che vogliono dimostrare che i loro prodotti sono efficaci. Quindi come medici, come scienziati, bisogna stare veramente attenti ad estrarre le informazioni affidabili dall’oceano di informazioni pubblicate ogni giorno su internet o inviate da compagnie ed istituzioni mediche. Questa è una cosa. Un’altra cosa è che noi vogliamo rompere con quello che ho descritto prima: questo teatro del medico che è qualcuno al di sopra di tutto il resto. E la prima cosa, forse la più importante, è provare ad attivare la responsabilità delle persone rispetto a loro stessi, ai loro corpi, alla loro salute. Quindi quello che proviamo a fare è dare loro delle informazioni che riteniamo affidabili. Così allo stesso tempo noi siamo tecnici (è vero che abbiamo un tipo di conoscenza specifica), amici, compagni, qualcuno di cui potersi fidare. Noi diamo loro alcune informazioni e proviamo a capire insieme cosa può essere meglio per loro. Questo non è semplice come si potrebbe pensare. In particolar modo con le persone che non hanno a che fare con l’attivismo, con la politica, o con quello che ti pare, è davvero difficile di primo impatto renderli attivi, perché di solito ti dicono “tu sei il dottore… tu devi dirmi!”. E quindi tu devi fare un passo indietro e dire “ok, questa è la mia opinione ma io ho basato questa opinione su uno, due, tre avvenimenti della mia esperienza, ma anche tu hai un’opinione!”. A volte tu [come dottore] hai un’opinione molto forte e definita.
Ma è davvero molto comune che un problema di salute non abbia una soluzione definita. Se stiamo parlando di assistenza medica di base, probabilmente la maggior parte delle patologie sono auto-limitanti o possono essere controllate senza l’ausilio di medicine. Ci sono tre gradi dell’assistenza medica, e in questo caso noi stiamo parlando solo del primo. Il terzo grado è un ospedale veramente grande, fantastico, con competenze chirurgiche e macchinari per le TAC e le risonanze magnetiche. Questo è davvero importante e molte vite sono salvate in questi luoghi ogni giorno, ma è una piccola parte dei problemi di salute, è solo la punta dell’iceberg, ciò che è visibile e riconoscibile. Per noi focalizzarci sulla base, sul primo grado dell’assistenza sanitaria, è stata una scelta oculata. Abbiamo preso questa decisione non solo perché è più semplice in termini materiali (ovviamente era difficile procurarsi della tecnologia medica costosa o occupare una sala operatoria), non solo perché ci dà l’opportunità di essere coinvolti nella vita quotidiana di un quartiere, ma principalmente perché crediamo fermamente che sia l’approccio più valido alla sanità. Un approccio che mette l’uomo al centro, che previene i problemi ed assicura salute psicologica. L’80% delle persone ha semplicemente bisogno del primo grado di assistenza sanitaria. E l’80% di questo 80% rimane lì, senza bisogno di andare oltre, negli altri gradi. Questo è qualcosa di risaputo nella letteratura medica e noi l’abbiamo riscontrato: su 10 persone che vengono da noi 8 ci restano, nel senso che possiamo dare loro una soluzione. Quindi questo è il nostro secondo obiettivo, ne ho parlato a lungo perché è probabilmente il più importante. L’altra cosa che facciamo rispetto a questo obiettivo riguarda le persone dell’assemblea che non lavorano nella sanità, ma lavorano con noi ogni settimana, ogni volta che siamo aperti. Loro sanno come riconoscere ciò che è veramente importante, come raccogliere le storie cliniche in maniera affidabile e sanno quali sono i loro limiti. Perché magari qualcuno potrebbe pensare di poter fare completamente il lavoro di un medico, che ovviamente non è ciò che noi vogliamo. Nonostante questo, possono avere delle competenze specifiche, che sono davvero importanti perché riguardano malattie molto comuni. Per esempio, possono misurare la pressione o la glicemia, conoscono il primo soccorso. Sono quindi nella posizione di poter raccogliere la storia clinica in maniera affidabile. Questa è l’apertura ai membri dell’assemblea e l’apertura al pubblico, alle altre persone che non vogliono far parte della nostra assemblea. Ogni mese teniamo una lezione, una “anti-lezione”, qualcosa che a volte è tenuta da un medico o a volte da un medico e un non-medico che finge di aver preso delle medicine che hanno avuto effetti negativi o che ha problemi con le medicine… cose del genere. O magari qualcuno che non è un medico trova qualcosa nella letteratura [medica] e lo presenta, e a noi tocca, insieme al medico, discutere se questo qualcosa è affidabile, se è buono. Quindi è una specie di workshop su come puoi trovare informazioni affidabili, e devi sapere che puoi farlo, ma devi anche conoscere i tuoi limiti. In un altro mondo, in un mondo libero, le persone potrebbero prendersi cura di loro stesse fin dove riescono a farlo e, allo stesso tempo, senza essere pericolose.
Ritengo che questa sia la cosa più importante che abbiamo da offrire: quando arriva un paziente noi gli proponiamo di discutere il suo problema in maniera assembleare. Quindi ci sediamo e, se lui è d’accordo, procediamo in questo modo. Nell’assemblea ci sono sia medici, che non medici. In questo modo proviamo a capire se c’è una prospettiva sociale, che è davvero, davvero comune. A volte le persone che non sono medici possono dare una soluzione perché hanno esperienze simili. A volte, e questo è veramente importante, organizziamo gruppi di pazienti con la stessa malattia, malattie croniche intendo, che in qualche modo li definiscono [socialmente] perché impongono loro un certo modo di vivere. Abbiamo gruppi di persone con la depressione. Si incontrano ogni settimana. Alcuni di loro hanno una definizione psichiatrica, altri no, sentono semplicemente le voci. E loro lo trovano d’aiuto, al momento dura da un anno. L’ultima cosa che vorrei dire su questo è che la grande maggioranza dei nostri pazienti ha problemi psicologici. È la causa principale per cui i pazienti vengono da noi. Quindi questo era il secondo obiettivo, davvero grande. Il terzo è veramente piccolo. È che noi ci consideriamo come un collettivo politico, quindi non dimentichiamo che siamo in uno spazio che ha due nemici: un nemico è lo stato, che attacca l’assistenza sanitaria, attacca i diritti delle persone e dei pazienti, quindi noi dobbiamo resistere in qualche modo. Uno dei canali di resistenza è l’ambulatorio stesso. Partecipiamo anche ad altri canali di resistenza, come i sindacati del servizio sanitario, ma [l’attività che svolgiamo nell’ambulatorio] è qualcosa di profondamente diverso perché vogliamo spronare le persone che non sono professionalmente coinvolte nella sanità a reagire, perché questo è un diritto. Quindi noi discutiamo, andiamo negli ospedali e diamo volantini, sia ai pazienti sia ai medici. Quando per la prima volta è stato introdotto un ticket per farsi visitare in ospedale, siamo stati i primi ad andare là e a bloccare le casse, a bloccare questa procedura. Questa azione ha avuto una risonanza talmente grande che praticamente ogni gruppo coinvolto nella resistenza sociale, perfino i partiti del Parlamento, la hanno replicata: bloccare le casse degli ospedali è diventata una pratica veramente comune. Questo è qualcosa che abbiamo offerto al campo della resistenza sociale.
Ed è qualcosa che noi non dimentichiamo. Questo è un nemico: lo stato. Gli altri nemici siamo noi stessi, la parte migliore di noi stessi. Nella nostra occupazione abbiamo diversi gradi di libertà, che non è totale, ma ci sono alcuni gradi di libertà, così noi proviamo a rendere tutto e noi stessi sempre migliori. Per questo dobbiamo fare i conti con le nostre prospettive, con le nostre possibilità e con le cose che succedono fuori. Il quarto obiettivo è che noi vogliamo questa cosa: lavorare come un faro, come un esempio per gli altri affinché prendano la parte buona ed eliminino la cattiva, affinché gli altri facciano meglio, rendano più grande quello che facciamo e non si limitino soltanto a replicare o a copiare… Io sono stato uno di quelli che hanno proposto questo progetto, nonostante non credessi che sarebbe durato a lungo e non credessi in alcun tipo di successo. Quello che avevamo veramente in testa era un esperimento per gli altri che sarebbero venuti dopo. Fortunatamente è [un progetto] ancora vivo, che ha offerto alcune cose, che ha fallito in molte più cose di quelle in cui ha avuto successo. Ma l’aspetto più importante è che altre persone lo hanno visto, hanno condiviso l’esperienza, sono stati lì, hanno visto quello che abbiamo fatto e, perfino vedendo soltanto il nostro blog, hanno realizzato qualcosa di simile. Così ora abbiamo circa dieci occupazioni simili di cliniche sociali, già pronte o quasi pronte.
…dieci ad Atene o in tutta la Grecia?
Dieci in tutta la Grecia. La più grande è a Salonicco. Ce ne sono anche a Rethymno, a Volos e in altri cinque o sei quartieri di Atene. Quindi sono quasi dieci. E anche a Patrasso. Un punto veramente importante è che noi siamo stati criticati, in primo luogo, perché questa cosa poteva essere facilmente incorporata dal sistema, perché era facile che qualcuno considerasse questa cosa come carità. É qualcosa che molti altri hanno provato a fare, soprattutto negli ultimi anni, con la crisi che incalza ed esplode ogni giorno. Sono state realizzate alcune cliniche simili, dalla chiesa o dalle associazioni mediche, che in modi diversi sono state pubblicizzate bene e hanno avuto grande supporto dalla Tv che le mostrava continuamente, dicendo: “guardate queste persone! Loro stanno cercando di aiutare”. Ma alcune persone conoscono la differenza e vengono da noi proprio perché sanno che c’è qualcosa di veramente diverso. Questo è il nostro quarto obiettivo. Penso che in qualche modo li abbiamo raggiunti tutti. Per questo siamo convinti di aver fatto qualcosa che ha avuto successo, nonostante i tanti fallimenti che ho già menzionato. Allo stesso tempo devo ammettere che abbiamo così tante idee, così tante speranze, che non potranno mai uscire fuori tutte quante. Quindi, se vogliamo dare un segno è positivo, ma ci sono anche degli aspetti molto negativi dai quali proviamo a trarre insegnamento, per noi e per tutti coloro che sono interessati.
Un’altra domanda riguarda il modo in cui vi relazionate alle altre nove esperienze simili alla vostra. Solo per capire quali sono i punti in comune e quali le differenze, e se c’è un livello di coordinamento dell’attività politica fra queste dieci cliniche sociali delle quali hai parlato.
Lo scorso maggio si è tenuta ad Atene una conferenza in cui abbiamo invitato tutte queste cliniche. Alcune non sono potute venire per questioni materiali, ma abbiamo comunicato con tutte. Abbiamo proposto di creare una rete su due livelli: il primo livello è quello locale, rispetto a cui abbiamo provato a connetterci con le altre cliniche di Atene per scambiare medicine o servizi medici, perché noi abbiamo molte medicine e alcune persone ne hanno bisogno nelle altre cliniche. Atene è una città veramente grande, di oltre 4 milioni di persone, quindi proviamo a scambiarci: a) medicine; b) magari anche alcuni medici, che hanno particolari specializzazioni e vanno in più di uno di questi ambulatori. Il secondo livello è con le cliniche in tutta la Grecia, cui abbiamo proposto di scambiare lezioni. E loro hanno accettato. Intendo che se noi abbiamo una presentazione pronta, la diamo a loro. Quindi è un campo aperto, siamo solo all’inizio, la maggior parte delle altre cliniche sono veramente recenti o ancora non sono state presentate, ma tutte ci hanno contattato per condividere qualcosa, quindi non so cosa accadrà il prossimo anno.
Quali sono le caratteristiche particolari del vostro ambulatorio rispetto agli altri? Siete specializzati in alcuni campi medici o no?
Questa domanda ha due livelli. Il primo livello è tecnico, intendo quanti dottori partecipano e che tipi di servizi possono offrire. A Salonicco hanno molti più dottori di noi, ed hanno strutture che noi non abbiamo. Per esempio, loro hanno un dentista con attrezzi odontoiatrici che noi non abbiamo. Noi abbiamo un elettrocardiografo che ci è stato donato da un sindacato, perché uno dei membri di questo sindacato è venuto da noi ed ha risolto i suoi problemi. Quindi, non per gratitudine ma per solidarietà, ha preso l’iniziativa di raccogliere soldi tra i membri del sindacato. Così ci hanno comprato l’elettrocardiografo. Questo rispetto al livello tecnico, che io ritengo sia secondario. Qualcuno potrà dire che le principali differenze non sono poi così grandi, ma allo stesso tempo sono importanti e riguardano il livello politico. Per esempio, la nostra clinica ha deciso in maniera chiara e definitiva che non vuole nessuna relazione con qualsiasi tipo di istituzione, come lo stato, i ministeri, i municipi, le aziende, gli sponsor, i partiti politici, e cose di questo genere. Come ho già spiegato ci sono due tipi di cliniche ambulatoriali, tra quelle simili a noi credo che nessuna voglia avere niente a che fare con le istituzioni, però, per esempio, la clinica di Salonicco ha accettato l’offerta del rappresentante del sindacato di prendere un edificio.
Stai parlando dell’ospedale occupato a Kilkìs, vicino Salonicco?
No, a Kilkìs hanno occupato l’ospedale dove già lavoravano. L’ospedale è stato occupato dai lavoratori per poche settimane. È stato qualcosa di diverso. E dopo questo, l’associazione medica locale ha provato qualcosa di simile ad un ambulatorio. Ma [la clinica sociale di] Salonicco è qualcosa di diverso, perché loro hanno parecchi dottori di vari ospedali e hanno rilasciato molte interviste alla televisione, cosa che noi abbiamo deciso di non fare. Comunque questa non è la cosa più importante. Non voglio dividere questo tipo di esperienze. È solo un diverso punto di vista. Non abbiamo niente da condividere, ma abbiamo tante cose in comune.
Rispetto al livello tecnico che hai appena menzionato, ci piacerebbe sapere come riuscite a farlo funzionare. Ad esempio, come rimediate le medicine? Come ottenete le apparecchiature?
Precedentemente non ho detto che siamo stati avvicinati da importanti canali televisivi stranieri. Dalla Grecia mai, ma dall’estero sono arrivate la BBC e TV5, dalla Francia, per un’intervista, e ovviamente noi abbiamo declinato. Abbiamo declinato ed abbiamo spiegato il perché. Soprattutto il giornalista francese era così sconvolto che non riusciva a capire la ragione per la quale ci rifiutavamo di parlare con lui. Ma quando gli abbiamo spiegato il perché, ha detto: “Ok, avete ragione!”. Abbiamo detto che noi crediamo che sia un’istituzione che aiuta il nemico. E alla fine della conversazione lui ha detto: “Per come l’avete messa, sì, avete ragione”. Quindi, dicevamo… come troviamo gli strumenti tecnici. In primo luogo, siamo in un edificio che era usato fino a cinque anni prima che vi entrassimo come un’unità di assistenza sanitaria di primo grado. Quindi le persone ci andavano per i vaccini, c’era un ginecologo, c’erano lezioni per le mamme, cose così. Ma è stato abbandonato dallo stato. È stato chiuso, quindi noi abbiamo provato ad entrare sia simbolicamente, che praticamente, per affermare che lo stato aveva promesso qualcosa, lo stato mente, e noi, le persone, tutti, senza nessun tipo di gerarchie, apertamente, in modalità assembleare, stiamo provando a prendere le nostre vite nelle nostre mani e il primo passo è prenderci cura della nostra salute. Quindi alcune cose le abbiamo ereditate da questa unità di assistenza sanitaria che lavorava lì. Il secondo modo te l’ho già accennato: sono offerte delle persone. In particolar modo le medicine. Molte persone arrivano con pacchi di medicine. E dei sindacati. E di altri gruppi che appartengono alla galassia della resistenza sociale. In entrambi i casi ci danno soldi, o molti di loro ci danno attrezzature. Mi sembra di averlo detto in maniera chiara: la solidarietà è la nostra arma.
Un’altra domanda riguarda il tipo di persone che frequentano la clinica. Per esempio, appartengono ad una classe sociale in particolare? Sono giovani, migranti, persone anziane? E stiamo parlando sia degli attivisti, che dei pazienti che la frequentano. Abbiamo inteso che si tratta di una specie di categoria mista…
In primo luogo, dichiaro l’obiettivo che ci siamo posti. Il titolo del nostro volantino di benvenuto è: “nella casa della salute, tutti sono i benvenuti”. Ma quando diciamo tutti, intendiamo tutti tranne coloro i quali vogliono venire da noi e parlare o comportarsi da fascisti, razzisti o sessisti. È l’unica eccezione che facciamo. Tutti sono benvenuti. Questo significa che non puntiamo solo alle persone che non hanno assistenza medica, ai migranti, ai nullatenenti. Vogliamo anche la gente normale, quella della porta accanto, perché siamo interessati alla loro mentalità, al modo in cui pensano e vogliamo prendere alcune decisioni circa le loro vite insieme. Ovviamente molte delle persone che arrivano sono politicamente sensibili. Membri dell’assemblea, loro amici, etc. Vengono anche da altre assemblee di Atene. Ma noi teniamo un registro e ci siamo resi conto che, per ora, la maggior parte delle persone non è di questo tipo. La maggior parte di loro è gente del quartiere, senza alcun tipo di coinvolgimento politico. La maggioranza di queste persone, come vi ho detto, soffre dei problemi comuni, classici, che puoi riscontrare in un paziente ambulatoriale. E ad ogni modo, ripeto, abbiamo un sacco di gente con problemi psicologici, cosa che riflette la situazione della società in generale. Abbiamo un aumento dei suicidi, che alcuni stimano attorno al 300%. Quindi i problemi che arrivano da noi sono problemi cronici. Noi non rispondiamo ad emergenze, non abbiamo l’opportunità di coprire 24 ore, ovviamente. Siamo aperti solo per poche ore, 2-3 pomeriggi a settimana. Questo vuol dire che abbiamo a che fare con i classici problemi cronici.
Come il contesto politico generale influenza il vostro lavoro? Per esempio, in che modo la crescente repressione statale degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, influenza il vostro lavoro quotidiano?
Per essere onesti, noi non abbiamo ricevuto nessuna minaccia e non abbiamo nessun tipo di problema con le autorità, al momento. Indirettamente, siamo coinvolti poiché assistiamo molte persone che hanno grossi problemi, problemi dovuti agli arresti e, in maniera più consistente, a quello che accade durante i cortei. Per esempio, abbiamo persone che sono state seriamente ferite alla testa. Uno di loro era in uno stato di pericolo veramente serio, rischiava perfino la morte. E ora rimarrà stordito per mesi. Altre persone hanno perso l’udito a causa delle esplosioni. Quindi abbiamo vittime della repressione della polizia. O persone con problemi ortopedici, gambe rotte, braccia rotte. Qualcosa con cui abbiamo a che fare davvero spesso.
Magari vuoi dire qualcosa di cui non abbiamo ancora parlato…
Solo una cosa. Ho detto abbastanza, credo. Ma vorrei ringraziare tutti quelli che ci mostrano solidarietà dall’estero, è qualcosa di davvero importante per noi. Dimostra che ciò che facciamo, almeno, è qualcosa che viene conosciuto, che viene rispettato dalle persone che vivono negli altri paesi. Vorrei dire che se volete essere davvero solidali con noi, non ne parlate con una sorta di ammirazione, non ritenete sufficiente inviare soldi o materiali. Dovreste fare qualcosa di simile. È qualcosa di praticabile, e vale la pena provarci.

Scritto da Assemblea di Medicina e Anomalia Sapienza..
Tratto da: dinamopress.it 

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 Un appello agli intellettuali europei

di VICKY SKOUMBI, DIMITRIS VERGETIS, MICHEL SURYA*

Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone
senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione
è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a
dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i
nuovi poveri e i rifugiati si contendono l'immondizia nelle discariche
pubbliche, i "salvatori" della Grecia, col pretesto che i Greci "non fanno
abbastanza sforzi", impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose
letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e
riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire
dal quadro le classi medie.

L'obiettivo non è il "salvataggio"della Grecia: su questo punto tutti gli
economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo
per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento
differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un
cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta
l'Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una
società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i
dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la
parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un'eliminazione
programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme
estreme di impoverimento e di precarizzazione.

Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna
instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più
elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in
Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si
tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i
"rappresentanti del popolo" dare carta bianca agli esperti e ai banchieri,
abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato
parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di
fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno
ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi),
diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di
legittimità democratica avrà ipotecato l'avvenire del Paese per 30 o 40
anni.

Parallelamente, l'Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato
dove verrà direttamente versato l'aiuto alla Grecia, perché venga impiegato
unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere "in
priorità assoluta" devolute al rimborso dei creditori e, se necessario,
versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione
stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata
dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze
verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia
rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e
pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le
privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove
saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri
termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria
del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione
istituzionale.

Poiché venditori e compratori siederanno dalla stessa parte del tavolo, non
vi è dubbio alcuno che questa impresa di privatizzazione sarà un vero
festino per chi comprerà.

Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno fatto che accrescere il
debito sovrano greco, che, con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti
a tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il 170% di un Pil in
caduta libera, mentre nel 2009 era ancora al 120%. C'è da scommettere che
questa coorte di piani di salvataggio - ogni volta presentati come 'ultimi'-
non ha altro scopo che indebolire sempre di più la posizione della Grecia,
in modo che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da parte sua i
termini di una ristrutturazione, sia costretta a cedere tutto ai creditori,
sotto il ricatto "austerità o catastrofe". L'aggravamento artificiale e
coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un'arma per
prendere d'assalto una società intera. E non è un caso che usiamo qui dei
termini militare: si tratta propriamente di una guerra, condotta con i mezzi
della finanza, della politica e del diritto, una guerra di classe contro
un'intera società. E il bottino che la classe finanziaria conta di strappare
al 'nemico' sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma, alla fine
dei conti, è la stessa possibilità di una vita umana. La vita di coloro che
agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono o
non consumano abbastanza non dev'essere più preservata.

E così la debolezza di un paese preso nella morsa fra speculazione senza
limiti e piani di salvataggio devastanti diviene la porta d'entrata
mascherata attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello di società
conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello
destinato all'Europa intera e anche oltre. E' questa la vera questione in
gioco. Ed è per questo che difendere il popolo greco non si riduce solo a un
gesto di solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l'avvenire della
democrazia e le sorti del popolo europeo.

Dappertutto la "necessità imperiosa" di un'austerità dolorosa ma salutare ci
viene presentata come il mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi
conduce dritto. Di fronte a questo attacco in piena regola contro la
società, di fronte alla distruzione delle ultime isole di democrazia,
chiediamo ai nostri concittadini, ai nostri amici francesi e europei di
prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il
monopolio della parola agli esperti e ai politici. Il fatto che, su
richiesta dei governanti tedeschi e francesi in particolare, alla Grecia
siano ormai impedite le elezioni può lasciarci indifferenti? La
stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di un popolo europeo non
meritano una presa di posizione? E' possibile non alzare la voce contro
l'assassinio istituzionale del popolo greco? Possiamo rimanere in silenzio
di fronte all'instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori
legge l'idea stessa di solidarietà sociale?

Siamo a un punto di non ritorno. E' urgente condurre la battaglia di cifre e
la guerra delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della
paura e della disinformazione. E' urgente decostruire le lezioni di morale
che occultano il processo reale in atto nella società. E diviene più che
urgente demistificare l'insistenza razzista sulla "specificità greca" che
pretende di fare del supposto carattere nazionale di un popolo (parassitismo
e ostentazione a volontà) la causa prima di una crisi in realtà mondiale.
Ciò che conta oggi non sono le particolarità, reali o immaginari, ma il
comune: la sorte di un popolo che contagerà tutti gli altri.

Molte soluzioni tecniche sono state proposte per uscire dall'alternativa "o
la distruzione della società o il fallimento" (che vuol dire, lo vediamo
oggi, sia la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese in
considerazione come elementi di riflessione per la costruzione di un'altra
Europa. Prima di tutto però bisogna denunciare il crimine, portare alla luce
la situazione nella quale si trova il popolo greco a causa dei "piani
d'aiuto" concepiti dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio.
Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di
iniziative di solidarietà, gli intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la
loro voce per la Grecia? Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli
articoli, gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni
iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa è urgente. Da parte nostra ecco
che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato
europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco
che resiste. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non adesso, quando?

*Rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e
direttore della rivista Lignes, Parigi.

Prime adesioni: Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Etienne
Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin, Bruno Clement, Danièle
Cohen-Levinas, Yannick Courtel, Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida
Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, Pierre-Philippe Jandin,
Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Judith
Revel, Elisabeth Rigal, Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe
Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso, Francesco Moretti


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EDITORIALE - Guido Viale
A due anni dalla denuncia dello stato comatoso delle sue finanze (ma gli interessati, in Germania e alla Bce, lo sapevano da tempo: erano stati loro a nasconderlo) la Grecia, sotto la cura imposta dalla cosiddetta Troika (Bce, Commissione europea e Fmi) presenta l'aspetto di un paese bombardato: un'economia in dissesto; aziende chiuse; salari da fame; disoccupazione dilagante; file interminabili al collocamento e alle mense dei poveri; gente che fruga nei cassonetti; ospedali senza farmaci; altri licenziamenti in arrivo; tasse iperboliche sulla casa e sfratti; beni comuni in svendita. E ora anche una città in fiamme. Ma a bombardare il paese non è stata la Luftwaffe, bensì il debito contratto e confermato dai suoi governanti di ieri e di oggi nell'interesse della finanza internazionale. Con la conseguenza che, a differenza di un paese uscito da una guerra, in Grecia non c'è in vista alcuna "ricostruzione", o "rinascita", "ripresa"; ma solo un fallimento ormai certo - e dato per certo da tutti gli economisti che l'avevano negato fino a pochi giorni o mesi fa - procrastinato solo per portare a termine il saccheggio del paese e, se possibile, il salvataggio delle banche che detengono quel debito; o di quelle che lo hanno assicurato. Le armi però c'entrano eccome. All'origine di quel debito, oltre alla corruzione e all'evasione fiscale, ci sono le Olimpiadi del 2004 (costate oltre un decimo del Pil) e l'acquisto di armi, che la Grecia è costretta a comprare e pagare a Francia e Germania come contropartita della "benevolenza" europea, per importi annui che arrivano al 3 per cento del Pil. Quattro fattori, armi (come F135), Grandi eventi (Olimpiadi o Expò, o Mondiali, o G8), evasione fiscale e corruzione che accomunano strettamente Grecia e Italia. Ma non solo.
Nel pacchetto, il quinto in due anni, delle misure imposte alla Grecia - liberalizzazioni di tariffe, mercati e lavoro, privatizzazioni dei servizi pubblici, blocco delle assunzioni, definanziamento di scuole, ospedali, Università, servizi sociali - c'è pari pari il programma del governo Monti (anch'esso cucinato da Bce e Commissione europea). La Grecia è solo un anno più avanti di noi sulla strada del disastro e Monti è il Papademos italico incaricato di accompagnarvi l'Italia spacciandosi per il suo salvatore e garantendone il saccheggio.
Aggiungi il patto di stabilità (Fiscal Compact) che impone di riportare il debito di entrambi i paesi, ormai chiaramente in recessione, al 60 per cento del PIL in regime di parità di bilancio, e avrete i termini di una politica senza ritorno imposta da una classe al potere senza un'idea di futuro che non sia la propria perpetuazione. Per loro contano solo i bilanci: tutto il resto crepi! Quando l'Unione europea avrà tagliato gli ormeggi alla Grecia per abbandonarla alla deriva, avrà messo il vascello in condizioni di non poter più navigare per decine di anni.
Nessuno degli economisti entusiasti degli "sforzi" di Monti ha la minima idea di come si possano raggiungere gli obiettivi del Fiscal Compact. E allora? Il fatto è che per loro "non c'è alternativa"; perché non sanno immaginare un futuro diverso dal presente: all'Università non lo hanno studiato e non si sono dotati di strumenti per concepirlo (tranne che per le loro carriere). "Non esiste un piano B per la Grecia, ha detto Draghi. Ma nemmeno per l'Italia. Per questo Monti non è la soluzione, ma il problema.
Ma un "piano B" per l'Europa va messo a punto, e in fretta; perché quello "A" è un strada senza uscita; e non si fa politica, né opposizione, senza un'idea sul da farsi appena il contesto la renda plausibile. E quel momento potrebbe essere vicino, perché il mondo sta cambiando in fretta. Ma l'Italia non è la Grecia, ripetono i supporter di Monti. E perché mai? Perché l'Italia ha un tessuto industriale robusto e perché è "troppo grande per fallire". Due tesi per lo meno parziali. Neanche la Grecia era priva di un tessuto industriale, anche se fragile, che le manovre deflattive imposte dalla Troika hanno mandato in pezzi. Una vicenda attraverso cui erano già passati anni fa - e per decenni - molti paesi dell'America Latina presi per la gola dal FMI. Quanto all'Italia, un inventario dei danni prodotti dal ventennio berlusconiano, non solo sullo "spirito pubblico" - e non è poco - ma anche sul tessuto industriale non è ancora stato fatto. Ma accanto ad alcune medie imprese che si sono ristrutturate ed esportano, tre dei maggiori gruppi industriali (Fiat, Finmeccanica e Fincantieri) sono alle corde e nel tessuto industriale residuo chiude una fabbrica al giorno. "Non si produce più niente" ripetono coloro che guardano la realtà senza lenti deformanti. Ma non è che tra un mese o tra un anno (o anche due) quelle fabbriche riapriranno, gli operai ritorneranno al loro posto di lavoro e le aziende riprenderanno a produrre come prima. Un enorme patrimonio di esperienze, di professionalità, di knowhow, di attitudine all'innovazione e al lavoro di gruppo viene disperso e scompare per sempre. Né ci sono in vista iniziative imprenditoriali in grado di mettere al lavoro, avviandole dal nulla, nuove produzioni, nuovi addetti e risorse gestionali in grado di riempire quei vuoti. E quanto agli investimenti stranieri, sono bloccati dall'articolo 18, dalla mancanza di infrastrutture come il Tav Torino Lione, dalle tasse troppo alte che nessuno paga, o dalla corruzione e dalla burocrazia che il governo Monti si è tirato in casa? BCE e governo Monti sono destinati a imprimere una accelerazione decisiva al lungo declino dell'economia italiana.
In secondo luogo, se l'Italia è troppo grande per fallire, è anche - come ci viene ripetuto spesso - "troppo grande per essere salvata". Qui sta la sua forza e la sua debolezza. La debolezza è quel continuo richiamo a fare "i compiti a casa" (un'espressione da deficienti) e a "cavarsela da sola" (sulla base, però, dei diktat di altri). Un compito impossibile, che i governi greci hanno già provato a svolgere nonostante la sua palese assurdità. La forza sta nel fatto che se il governo Italiano non sarà in grado di azzerare il deficit e dimezzare il debito, o anche solo di rifinanziarlo, perché il suo PIL precipita, "salta" anche l'euro - il che, forse, è già stato messo in conto. O verrà messo in conto tra poco - ma salta anche, probabilmente, l'Unione europea e con essa l'economia di mezzo mondo. E forse anche quella dell'altra metà. Non siamo più negli anni '30, quando la partita si giocava tra cinque o sei Stati. Il circuito finanziario ha ormai coperto e avviluppato l'intero pianeta.
Un piano B per l'Europa deve innanzitutto evitare un default disordinato (come ormai viene chiamata la prossima bancarotta degli Stati a rischio di insolvenza; e non sono pochi) e promuovere un "concordato preventivo": cioè un accordo che dimezzi in modo selettivo i debiti pubblici che non possono essere ripagati o che ne sterilizzi (con una moratoria delle scadenze) una buona metà. Il che trasferirebbe l'insolvenza sulle banche, costringendo anche la BCE e gli Stati più forti e arroganti a correre in loro soccorso: con nazionalizzazioni, "bad bank" e separando finalmente il credito commerciale dal pozzo senza fondo degli investimenti speculativi. Quanti più saranno gli Stati a rischio che si impegnano su questa strada, tanta maggiore sarà la forza per imporla.
Certamente, sia che l'euro venga conservato, sia che si torni alle vecchie divise, il caos economico che incombe sul paese e sull'Europa è spaventoso; ma non minore di quello in cui ci sta trascinando il tentativo di rinviare giorno per giorno una resa dei conti. In tempi di crisi valutaria, ciò con cui bisognerà fare i conti, a livello nazionale e locale, saranno gli approvvigionamenti: innanzitutto quelli energetici e alimentari. L'unica risorsa a cui attingere a piene mani nel giro di pochi mesi e pochi anni sono risparmio ed efficienza energetica. La condizione di paese bombardato apparirà allora in tutta evidenza: spente le luminarie che non servono per vedere ma per farsi vedere; auto ferme e mezzi pubblici strapieni (scarseggerà il carburante); orari cambiati per garantire il pieno utilizzo dei mezzi durante tutto l'arco della giornata; conversione in tempi rapidi - come all'inizio di una guerra - delle fabbriche compatibili con la produzione di impianti per le fonti rinnovabili o di cogenerazione, di mezzi di trasporto collettivi o condivisi a basso consumo; interventi sugli edifici per eliminarne la dispersione energetica. ecc. Giusto quello che si sarebbe dovuto fare - e ancora potrebbe essere fatto - in questi anni, con esiti economici certo migliori. Lo stesso vale per l'approvvigionamento alimentare: occorrerà restituire a ogni territorio la sovranità alimentare con un'agricoltura meno dipendente dal petrolio e un'alimentazione meno dipendente da derrate importate: una operazione da mettere in cantiere con una nuova leva di giovani da avviare a un'attività ad alta intensità di innovazione e di lavoro che potrebbe cambiare l'aspetto del paese. Analogamente occorrerà intervenire sul patrimonio edilizio inutilizzato, sul ciclo di vita dei materiali (risorse e rifiuti), su scuola, università, sanità con interventi che riducono gli sprechi e producono occupazione di qualità. Ma soprattutto ci vorrà una revisione generale degli acquisti quotidiani: spesa condivisa, rapporti diretti con il produttore e Km0 (i GAS), riduzione degli imballaggi e del superfluo, ricorso all'usato e alla riparazione e alla condivisione dei beni: tutti campi in cui il sostegno di un'amministrazione locale conta molto. E tante altre cose simili su cui occorre riflettere: sono tutti interventi da concepire, programmare e gestire a livello locale - con la partecipazione diretta della cittadinanza attiva - che potranno essere agevolati anche da un circuito parallelo di monete garantite dalle autorità locali, come era avvenuto con successo in molti paesi occidentali - compresa la Germania nazista - durante la grande crisi degli anni '30. Fantascienza? Forse; comunque un programma meno irrealistico dell'idea di affidare alla liberalizzazione dei servizi e dei rapporti di lavoro la ripresa di una crescita che sottragga l'Italia al cappio del debito; e magari anche alla crisi ambientale - ah! questa sconosciuta! - che investe il pianeta.
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Lettera aperta
di Mikis Theodorakis
Esiste un complotto internazionale che ha l'obiettivo di cancellare il mio paese. E’ iniziato nel 1975 opponendosi alla civiltà neo-greca, è continuato con la distorsione sistematica della nostra storia contemporanea e della nostra identità culturale e adesso sta cercando di cancellarci anche materialmente con la mancanza di lavoro, la fame e la miseria.
Se il popolo greco non prende la situazione in mano per ostacolarlo, il pericolo della sparizione della Grecia è reale. Io lo colloco entro i prossimi 10 anni.
Di noi, resterà solo la memoria della nostra civiltà e delle nostre battaglie per la libertà.
Fino al 2009 il problema economico non era grave. Le grandi ferite della nostra economia erano la spesa esagerata per la difesa del paese e la corruzione di una parte dei politici e dei giornalisti. Per queste due ferite, però, erano corresponsabili anche dei paesi stranieri. Come la Germania, la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti che guadagnavano miliardi di euro da noi con la vendita annuale di materiale bellico. Questa emorragia continua ci metteva in ginocchio e non ci permetteva di crescere mentre offriva grandi ricchezze ai paesi stranieri. Lo stesso succedeva con il problema della corruzione. La società tedesca Siemens manteneva un dipartimento che si occupava della corruzione dei nostri politici, per poter piazzare meglio i suoi prodotti nel mercato greco. Di conseguenza, il popolo greco è stato vittima di questo duetto di ladri, Greci e Tedeschi, che si arricchivano sulle sue spalle.
È evidente che queste due ferite potevano essere evitate se i due partiti al potere (filo americani) non avessero raccolto tra le loro fila elementi corrotti, i quali, per coprire l’emorragia di ricchezze (prodotte dal lavoro del popolo greco) verso le casse di paesi stranieri, hanno sottoscritto prestiti esagerati, con il risultato che il debito pubblico è aumentato fino a 300 miliardi di euro, cioè il 130% del Pil.
Con questo sistema, le forze straniere di cui ho detto sopra, guadagnavano il doppio. Dalla vendita di armi e dei loro prodotti, prima; dai tassi d’interesse dei capitali prestati ai vari governi (e non al popolo), dopo. Perché come abbiamo visto, il popolo è la vittima principale in ambedue i casi. Un esempio solo vi convincerà. I tassi d’interesse di un prestito di 1 miliardo di dollari che contrasse Andreas Papandreou nel 1986 dalla Francia, sono diventati 54 miliardi di euro e sono stati finalmente saldati nel…2010!
Il Sig. Juncker ha dichiarato un anno fa, che aveva notato questa grande emorragia di denaro dalla Grecia a causa di spese enormi (ed obbligatorie) per l’acquisto di vari armamenti dalla Germania e dalla Francia. Aveva capito che i nostri venditori ci portavano direttamente ad una catastrofe sicura ma ha confessato pubblicamente che non ha reagito minimamente, per non colpire gli interessi dei suoi paesi amici!
Nel 2008 c’è stata la grande crisi economica in Europa. Era normale che ne risentisse anche l’economia greca. Il livello di vita, abbastanza alto (eravamo tra i 30 paesi più ricchi del mondo), rimase invariato. C’è stata, però, la crescita del debito pubblico. Ma il debito pubblico non porta obbligatoriamente alla crisi economica. I debiti dei grandi paesi come gli USA e la Germania, si contano in tris miliardi di euro. Il problema era la crescita economica e la produzione. Per questo motivo furono contratti prestiti dalle grandi banche con tasso fino al 5%. In questa esatta posizione ci trovavamo nel 2009, fino a quando in novembre è diventato primo ministro Georges Papandreou. Per farvi capire cosa ne pensa oggi il popolo greco della sua politica catastrofica, bastano questi due numeri: alle elezioni del 2009 il partito socialista ha preso il 44% dei voti. Oggi le proiezioni lo portano al 6%.
Papandreou avrebbe potuto affrontare la crisi economica (che rispecchiava quella europea) con prestiti dalle banche straniere con il tasso abituale, cioè sotto il 5%. Se avesse fatto questo, non ci sarebbe stato alcun problema per il nostro paese. Anzi, sarebbe successo l’incontrario perché eravamo in una fase di crescita economica.
Papandreou, però, aveva iniziato il suo complotto contro il proprio popolo dall’estate del 2009, quando si è incontrato segretamente con il Sig. Strauss Kahn per portare la Grecia sotto l’ombrello del FMI (Fondo Monetario Internazionale). La notizia di questo incontro è stata resa pubblica direttamente dal Presidente del FMI.
Per passare sotto il controllo del FMI, bisognava stravolgere la situazione economica reale del nostro paese e permettere l’innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti. Questa operazione meschina è iniziata con l’aumento “falso” del debito interno, dal 9,2% al 15%. Per questa operazione criminale, il Pm Peponis, ha chiesto 20 giorni fa, il rinvio a giudizio per Papandreou e Papakostantinou (Ministro dell’economia). Ha seguito la campagna sistematica in Europa di Papandreou e del Ministro dell’economia che è durata 5 mesi, per convincere gli europei che la Grecia è un Titanic pronto per andare a fondo, che i greci sono corrotti, pigri e di conseguenza incapaci di affrontare i problemi del paese. Dopo ogni loro dichiarazione, i tassi d’interesse salivano, al punto di non poter ottenere alcun prestito e di conseguenza il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea hanno preso la forma dei nostri salvatori, mentre nella realtà era l’inizio della nostra morte.
Nel Maggio del 2010 è stato firmato da un solo Ministro il famoso primo accordo di salvataggio. Il diritto greco, in questi casi, esige, per un accordo così importante, il voto favorevole di almeno tre quinti del parlamento. Quel primo accordo è dunque illegale. La troika che oggi governa in Grecia, agisce in modo completamente illegale. Non solo per il diritto greco ma anche per quello europeo.
Dal quel momento fino ad oggi, se i gradini che portano alla nostra morte sono venti, siamo già scesi più della metà. Immaginate che con questo secondo accordo, per la nostra “salvezza”, offriamo a questi signori la nostra integrità nazionale e i nostri beni pubblici. Cioè Porti, Aeroporti, Autostrade, Elettricità, Acqua, ricchezze minerali ecc. ecc. ecc. i nostri, inoltre, monumenti nazionali come l’Acropolis, Delfi, Olympia, Epidauro ecc. ecc. ecc.; perché con questi accordi abbiamo rinunciato ad eventuali rincorsi.
La produzione si è fermata, la disoccupazione è salita al 20%, hanno chiuso 80.000 negozi, migliaia di piccole fabbriche e centinaia di industrie. In totale hanno chiuso 432.000 imprese. Decine di migliaia di giovani laureati lasciano il paese che ogni giorno si immerge in un buio medioevale. Migliaia di cittadini ex benestanti, cercano nei cassonetti della spazzatura e dormono per strada. Intanto si dice che siamo vivi grazie alla generosità dei nostri “salvatori”, dell’Europa, delle banche e del Fondo Monetario Internazionale. In realtà, ogni pacchetto di decine di miliardi di aiuti destinato alla Grecia torna per intero indietro sotto forma di nuovi incredibili tassi d’interesse.
E siccome c’è bisogno di continuare a far funzionale lo stato, gli ospedali, le scuole ecc., la troika carica di extra tasse (assolutamente nuove) gli strati più deboli della società e li porta direttamente alla fame. Un'analoga situazione di fame generalizzata l’avemmo all’inizio dell’occupazione nazista nel 1941, con 300.000 morti in 6 mesi. Adesso rivediamo la stessa situazione. Se si pensa che l’occupazione nazista ci è costata 1 milione di morti e la distruzione totale del nostro paese, com’è possibile per noi greci accettare le minacce della sig.ra Merkel e l’intenzione dei tedeschi di installare un nuovo gaulaighter… e questa volta con la cravatta…
E per dimostrare quant’è ricca la Grecia e quanto lavoratori sono i greci, che sono coscienti del Obbligo di Libertà e dell’amore verso la propria patria, c'è l'esempio di come reagì all'occupazione nazista dal 1941 all’Ottobre del 1944. Quando gli SS e la fame uccidevano 1 milione di persone e la Vermacht distruggeva sistematicamente il paese, derubando la produzione agricola e l’oro dalle banche greche, i greci hanno fondato il movimento di solidarietà nazionale che ha sfamato la popolazione ed hanno creato un esercito di 100.000 partigiani che ha costretto i tedeschi ad essere presenti in modo continuo con 200.000 soldati. Contemporaneamente, i greci, grazie al proprio lavoro, sono riusciti non solo a sopravvivere ma a sviluppare, sotto condizioni di occupazione, l’arte neo greca soprattutto la letteratura e la musica.
La Grecia scelse la via del sacrificio per la libertà e la sopravvivenza. Anche allora ci colpirono senza ragione e noi rispondemmo con la Solidarietà e la Resistenza, e siamo riusciti a vincere. La stessa cosa che dobbiamo fare anche adesso con la certezza che il vincitore finale sarà il popolo greco. Questo messaggio mando alla Sig.ra Merkel ed al Sig. Schäuble, dichiarando che rimango sempre amico del Popolo Tedesco ed ammiratore del suo grande contributo alla Scienza, la Filosofia, l’Arte e soprattutto alla Musica! E forse, la miglior dimostrazione di questo è che tutto il mio lavoro musicale a livello mondiale, l’ho affidato a 2 grandi editori tedeschi “Schott” e “Breitkopf” con cui ho un’ottima collaborazione.
Minacciano di mandarci via dall’Europa. Ma se l’Europa non ci vuole 1 volta, noi, questa Europa di Merkel e Sarkozy, non la vogliamo 10 volte.
Oggi è domenica 12 Febbraio. Mi sto preparando per prendere parte con Manolis Glezos, l’eroe che ha tirato giù la svastica dall’Acropolis, dando così il segnale per l’inizio non solo della resistenza greca ma di quella europea contro Hitler. Le strade e le nostre piazze si riempiranno di centinaia di migliaia di cittadini che esprimeranno la propria rabbia contro il governo e la troika. Ho sentito ieri il nostro Primo ministro – banchiere, rivolgendosi al popolo greco, dire che “siamo arrivati all’ora zero”. Chi, però, ci ha portati all’ora ZERO in due anni? Le stesse persone che invece di trovarsi in prigione, ricattano i parlamentari per firmare il nuovo accordo, peggio del primo, che sarà applicato dalle stesse persone con gli stessi metodi che ci hanno portato all’ora ZERO! Perché? Perché questo ordina l’FMI e l’Eurogroup, ricattandoci che se non obbediremo ci sarà il fallimento…
Stiamo assistendo al teatro della paranoia. Tutti questi signori, che in sostanza ci odiano (greci e stranieri) e che sono gli unici responsabili della situazione drammatica alla quale hanno portato il paese, minacciano, ricattano, ordinano con l’unico scopo di continuare la loro opera distruttiva, cioè di portarci sotto l’ora ZERO, fino alla nostra sparizione definitiva.
Siamo sopravvissuti nei secoli, in condizioni molto difficili ed è certo che se ci porteranno con la forza, con la violenza, al penultimo gradino prima della nostra morte, i Greci, non solo sopravvivranno ma rinasceranno. In questo momento presto tutte le mie forze all’unione dinamica del popolo greco. Sto cercando di convincerlo che la Troika e l’FMI non sono una strada senso unico. Che esistono anche altre soluzioni. Guardare anche verso la Russia per una collaborazione economica, per lo sfruttamento delle nostre ricchezze minerarie, con condizioni diverse, a favore dei nostri interessi.
Per quanto riguarda l’Europa, propongo di interrompere l’acquisto di armamenti dalla Germania e dalla Francia. E dobbiamo fare tutto il possibile per prendere i nostri soldi, che la Germania ancora non ha saldato dal periodo della guerra. Tale somma ad oggi è quasi 500 miliardi di euro!!!
L’unica forza che può realizzare questi cambiamenti rivoluzionari è il popolo greco, unito in un enorme Fronte di Resistenza e Solidarietà, per mandare via la troika (FMI e Banche) dal paese. Nel frattempo devono essere considerati nulli tutti gli accordi illegali (prestiti, tassi d’interesse, tasse, svendita del paese ecc.). naturalmente, i loro collaboratori greci, che sono già condannati nella coscienza popolare come traditori, devono essere puniti.
Per l’Unione di tutto il Popolo stò dedicando tutte le mie energie e credo che alla fine ce la faremo. Ho fatto la guerra con le armi in mano contro l’occupazione nazista. Ho conosciuto i sotterranei della Gestapo. Sono stato condannato a morte dai Tedeschi e sono vivo per miracolo. Nel 1967 ho fondato il PAM, la prima organizzazione di resistenza contro i colonnelli. Ho agito nell’illegalità contro la dittatura. Sono stato arrestato ed imprigionato nel “mattatoio” della dittatura. Alla fine sono sopravvissuto e sono ancora qui.
Oggi ho 87 anni ed è molto probabile che non riuscirò a vedere la salvezza della mia amata patria. Ma morirò con la mia coscienza tranquilla, perché continuo a fare le mie battaglie per gli ideali della Libertà e del Diritto fino alla fine